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Giovedì 18 Aprile

L’ARCIVESCOVO: “DEFINIRE LA VITA COME DONO DI DIO SOTTRAE ALL’UOMO IL DIRITTO DI DECIDERE L’INIZIO E LA FINE”

Il cristiano non vede nel termine della vita fisica la fine di tutto, ma un passaggio necessario verso la risurrezione. È in tale prospettiva che il credente guarda con serenità e speranza alla vita e alla morte.

Foto da www.agensir.it

L’Arcivescovo ha condiviso con gli operatori sanitari “qualche cosa di quello che Dio vuole a proposito della vita dei suoi figli, essendo la vita sempre un principio di relazione, anzitutto di relazione amorevole con Dio stesso. Secondo la rivelazione cristiana, la vita non ha, infatti, una definizione scientifica, non è un fenomeno biologico, ma una dinamica relazionale”. Così, il modo di intendere l’esistenza umana – che “ne esprime la dignità e il valore e che sottrae all’uomo il diritto di deciderne l’inizio e la fine” – non vede nel termine della vita fisica la fine di tutto, ma un passaggio necessario verso la risurrezione, pur non escludendo, come è ovvio, l’esperienza del dolore e della morte. È in tale prospettiva che il cristiano guarda con serenità e speranza alla vita e alla morte. Passaggio, questo, certamente complesso, tra “i meno plausibili, sia nella cultura contemporanea che nei tempi antichi”, ma che è l’unico modo “per salvarci dalla disperazione”.

“La vita non vale per quello che uno può fare, dire, pensare, produrre, ma per l’amore che riceve, l’amore di Dio. Definire la vita come relazione con Dio e dono suo sottrae all’uomo il diritto di decidere l’inizio e la fine della vita. Si deve convenire che poiché l’amore di Dio non finisce, non si può dire che la vita finisce”: è un altro passaggio della “lectio magistralis”, tenuta dall’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, al convegno Fadoi Anìmo sul fine vita, a Palazzo delle Stelline di Milano, lo scorso sabato.

Consapevole che “la condizione corporea dell’uomo e della donna implica una condizione di precarietà e una inevitabile esposizione al processo che conduce alla morte fisica”, l’Arcivescovo ha segnalato che “la morte fisica e la precarietà del corpo non viene da Dio e Dio manifesta la sua onnipotenza nel salvare dalla morte”. Monsignor Delpini ha indicato poi che “la precarietà della vita terrena espone i viventi al soffrire in una drammaticità di esperienze che coinvolgono tutte le dimensioni della persona: la dimensione corporea, la dimensione psicologica, la dimensione spirituale e il loro inestricabile comporsi”.

La convinzione dell’Arcivescovo è che “l’accesso alla vita che Gesù offre non è il permanere indefinito nella condizione fisica della vita, ma il ricevere la vita di Dio, che è la relazione che chiamiamo amore”. Infine, monsignor Delpini ha annunciato che “la commissione episcopale per il servizio della carità e la salute della Cei sta preparando una nota sulla fase terminale della vita terrena”.

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Cernusco sul Naviglio, 8 aprile 2019