IL VIAGGIO CARITAS SULLA ROTTA DEI BALCANI

Giovedì 21 marzo, alle ore 21, al Centro cardinal Colombo di Piazza Matteotti, il gruppo di giovani cernuschesi che nello scorso novembre è stato a Bihac, in Bosnia, racconterà la propria esperienza. “Al fianco dei migranti, oltre all’Iom, restano solo le ong locali e internazionali, la rete Caritas, e i volontari ‘indipendenti’ che dall’Europa arrivano periodicamente portando aiuti.”

Foto da www.agensir.it

Ilaria, Chiara, Giorgia, Filippo e Beatrice hanno fatto parte del gruppo di cernuschesi che è stato a Bihac, in Bosnia, lungo la rotta dei migranti nei Balcani. Giovedì 21 marzo (alle ore 21, al Centro Cardinal Colombo di Piazza Matteotti) racconteranno questa loro esperienza. Sarà ospite Silvia Maraone coordinatrice dei progetti lungo la rotta dei Balcani di Ipsia Acli. Introdurrà la serata, Giuseppe Ronzoni, coordinatore della Caritas cittadina.

Recentemente una delegazione di Caritas Lombardia ha visitato il più grande centro per migranti della Bosnia, dove le condizioni sono davvero difficili ma c’è chi, come Ipsia, prova ad offrire un sostegno, a cominciare da una tazza di caj. Di seguito ecco la loro testimonianza.

“Ci troviamo a Bihać, capoluogo del cantone dell’Una-Sana, alla frontiera nord della Bosnia ed Erzegovina, confine caldo d’Europa. È da qui che passa la ‘otta bosniaca’, la via percorsa dai migranti che tentato di aggirare l’irrigidimento dei controlli lungo il confine serbo-croato e serbo-ungherese. Stando ai dati ufficiali dell’Organizzazione mondiale delle migrazioni sono stati 24mila i migranti in transito in Bosnia nel corso del 2018 e la maggior parte di loro ha cercato di passare il confine a nord puntando verso Bihać e Velika Kladuša.”

“Sono per lo più uomini e ragazzi soli, provenienti da Pakistan, Afghanistan e Iran e, in misura minore, da Marocco, Tunisia e India, ma ci sono anche famiglie siriane e irachene con bambini piccoli. Quest’ultime resistono al Bira nell’attesa di essere trasferite al Borici, un altro campo appena fuori dal centro della città che è stato appena ristrutturato dall’Iom e destinato alle famiglie e ai soggetti vulnerabili.”

“I migranti a Bihac arrivano in bus o a piedi, nonostante il freddo e la neve che ancora ricopre le montagne e aspettano il momento buono per attraversare il confine: c’è chi ci prova da solo, magari facendosi aiutare dalle mappe sullo smartphone e dai consigli di chi è già passato di lì, e chi invece si affida ai trafficanti, il cui mercato non è mai stato così florido da queste parti. I migranti lo chiamano ‘game’ (gioco) perché, per la maggior parte di loro, il tentativo si conclude nel punto esatto da cui sono partiti. Un macabro gioco dell’oca che spesso porta con sé danni fisici e

psicologici.”

“’Dall’accordo tra Turchia e Unione europea del marzo 2016 i numeri di persone in transito nei Balcani si sono notevolmente ridotti, ma il flusso non si è certamente arrestato e la Bosnia resta il punto con più chilometri di confine dove poter attraversare’, ha spiegato al Sir, Silvia Maraone, coordinatrice degli interventi lungo la Balkan Route per Caritas e Ipsia (Ong legata alle Acli), che non nasconde la preoccupazione per quanto potrà accadere nei prossimi mesi.”

“’Tenendo conto della chiusura della rotta del Mediterraneo Centrale – ha spiegato l’operatrice - c’è il rischio che la pressione sulla Rotta Balcanica torni ad aumentare’. Un’eventualità a cui il governo di Sarajevo non sembra volersi preparare rifiutando di farsi carico della gestione dei centri già esistenti nel Paese, tutti affidati dall’Iom. A questo si aggiunge il risentimento crescente delle comunità locali: le autorità del cantone dell’Una-Sana, ad esempio, hanno minacciato di chiudere tutti i centri presenti nel cantone se la capienza massima non verrà rispettata e hanno moltiplicato i trasferimenti dei migranti dalle zone di confine verso Sarajevo. Così, da alcune settimane, gli ingressi al Bira sono, almeno sulla carta, bloccati.”

“Al fianco dei migranti, oltre all’Iom, restano così solo le Ong locali e internazionali, la rete Caritas, e i volontari ‘indipendenti’ che dall’Europa arrivano periodicamente portando aiuti. Proprio Ipsia BIH è riuscita ad aprire all’interno del Bira un ‘Social Café’ che serve ogni giorno – nelle tre ore di apertura – oltre quattrocento tazze di Caj, il té come viene chiamato in Turchia e in diversi Paesi di Asia e Medio Oriente.”

“Per noi è fondamentale lavorare all’interno di un campo – ha sottolineato Silvia Maraone – come il Bira proprio per le condizioni in cui si trovano le persone. Un intervento come il ‘Social Café’ è assolutamente importante per mantenere la loro dignità. Non si tratta di dare una tazza di té, ma di riconoscere gli individui come persone”. (Fonte: «Tra Bosnia e Croazia il “gioco” disperato dei migranti verso l’Ue», 5 marzo 2019, Michele Luppi per Agenzia Sir)

Cernusco sul Naviglio, 18 marzo 2019