GELLERA: “METTERE OGNI COSA IN COMUNE, PERCHÈ COSÌ SI VIVE MEGLIO”

Dario Gellera, diacono permanente della nostra comunità pastorale ha raccontato a “La Fiaccola”, mensile dell’Associazione “Amici del seminario” di Milano – la sua esperienza di vita comunitaria.

«Tutti i credenti stavano insieme e ave­vano ogni cosa in comune» (Atti 2,44). Mi è difficile parlare dell’esperienza di vi­ta comunitaria che insieme con la fami­glia vivo ormai da 19 anni senza partire da uno dei riassunti che descrivono le prime comunità cristiane. Negli anni ho letto e sentito commenti di teologi, pre­sbiteri, vescovi, fedeli laici e laici “non fe­deli”, intorno a quei pochi versetti e ciò che mi ha sempre stupito - profonda­mente stupito, purtroppo in senso nega­tivo - è il tentativo da parte di molti di evitare di commentare, o al più com­mentarlo come qualcosa di utopico, pro­prio questo versetto: «Avevano ogni co­sa in comune». Non mi è chiaro il moti­vo reale di questa dimenticanza ma mi sono chiari, molto chiari, gli effetti: vedo comunità cristiane che pregano insieme, talvolta seguono gli insegnamenti dei suc­cessori degli apostoli, mangiano insieme, ma custodiscono gelosamente ognuno le proprie cose, i propri beni. Un bellissimo dipinto, un’opera d’arte incredibilmente bella ma incompiuta. Invece il motivo che mi ha spinto a pro­vare a vivere l’esperienza di vita comu­nitaria con altre famiglie è stato proprio l’invito a mettere ogni cosa in comune. E questo invito trova oggi concretezza nella “cassa comune”, nel non possesso di molti beni, nel decidere insieme l’uti­lizzo di parte delle risorse economiche. Tutte le entrate cadono in un’unica cas­sa, un unico conto in banca, comune a tutte le famiglie e da lì escono per cia­scuna famiglia, che decide come utiliz­zare la sua parte, secondo i propri biso­gni, diversi da famiglia a famiglia.

Ma per far funzionare questo meccani­smo, per non ricadere nella logica del «questo è mio», per tentare - sottolineo, tentare - di vivere il più sobriamente pos­sibile è importante imparare a mangiare insieme, pregare insieme, creare relazio­ni profonde. Chi legge non si impressioni: noi non facciamo tutto insieme, ci mancherebbe. Ma curiamo, con le nostre capacità e i nostri limiti, le relazioni dentro e fuori della comunità familiare. Cerchiamo ogni gior­no di essere inseriti nella rete di relazioni sociali, amicali, ecclesiali del paese in cui viviamo. In mezzo agli altri, credenti e non, con la nostra specificità. E uno dei frutti del mettere in comune i beni è l’apertura verso chi ha bisogno. In particolare minori ma non solo.

   

 

Nel corso di questi primi 19 anni sono sta­te diverse le persone che sono entrate nelle nostre case perché ne avevano bi­sogno; chi per poche ore, chi per anni, chi è ancora qui con noi. Un altro frut­to del mettere in comune i beni è la col­laborazione nata ormai oltre dieci anni fa con la cooperativa sociale “Comin” che si occupa di minori e famiglie, che ha dato vita alla “Girandola”, un luogo di vita a cui abbiamo dato questo no­me, che vede affacciarsi sullo stesso cor­tile la comunità familiare (a cui abbia­mo dato il nome di “Sguardi”), una co­munità educativa con minori ed educa­tori, appartamenti per l’accoglienza di persone che vivono bisogni abitativi. Ab­biamo tentato di mettere insieme pro­fessionalità e familiarità.

Un altro frutto del mettere in comune i beni è che nessuno di noi è povero! Se ci confrontiamo con i dati Istat ogni fa­miglia della comunità familiare vive a ri­dosso della soglia di povertà, ma a nes­suno di noi manca il necessario, nean­che in quei periodi in cui a qualcuno è mancato il lavoro: tutti un po’ meno ma per tutti il minimo. Un altro frutto del mettere in comune i beni è l’educazione dei figli: c’è chi ap­prezza e chi critica questo nostro stile di vita (credo sia normale qualunque sia la scelta genitoriale) ma a nessun figlio ab­biamo dovuto “spiegare” che ci sono per­sone fragili che hanno bisogno del no­stro aiuto perché ogni figlio ha “vissuto” la relazione con loro; talvolta difficile, tal­volta serena, sempre formativa!

Mi sento e ci sentiamo persone assolu­tamente normali che non fanno niente di speciale. Proprio per questo spero e prego che ci siano sempre più credenti che inventino strade per mettere in co­mune le risorse. Non per chissà quale motivo ma solo perché così si vive me­glio e i frutti sono abbondanti!

Dario Gellera
(da: “La Fiaccola”)

Cernusco sul Naviglio, 1 giugno 2015