NON CLASSIFICARE GLI ALTRI

Al centro dell'udienza di mercoledì 27 aprile la parabola del Buon Samaritano, che insegna a "non classificare gli altri" tra chi è nostro prossimo e chi no, ma ad avere "la capacità di patire con" loro. Il protagonista della parabola ha la stessa "compassione" di Dio. E noi, ci crediamo?

“Non è automatico che chi frequenta la casa di Dio e conosce la sua misericordia sappia amare il prossimo, non è automatico”. Lo ha ripetuto il Papa, durante la catechesi dell’udienza generale di mercoledì 27 aprile e dedicata alla parabola del Buon Samaritano. “Chi è mio prossimo?”, la domanda centrale del brano evangelico, che sottintende: “I miei parenti? I miei connazionali? Quelli della mia religione?”. Chi fa questa domanda, ha spiegato Francesco, “vuole una regola chiara che gli permetta di classificare gli altri in prossimo e non prossimo”.

“Il samaritano, cioè proprio quello disprezzato, quello sul quale nessuno avrebbe scommesso nulla, e che comunque aveva anche lui i suoi impegni e le sue cose da fare, quando vide l’uomo ferito, non passò oltre come gli altri due, ma ne ebbe compassione, cioè il cuore, le viscere si sono commosse”. È questo, secondo il Papa, “il centro” della parabola.


Papa Francesco in Piazza San Pietro

Ciò che fa “la differenza”, ha sottolineato, è che gli altri due protagonisti “videro, ma i loro cuori rimasero chiusi, freddi”. Invece, “il cuore del samaritano era sintonizzato con il cuore stesso di Dio”.

“La compassione è una caratteristica essenziale della misericordia di Dio”: “Dio ha compassione di noi, patisce con noi, le nostre sofferenze lui le sente con passione, ‘patire con!’”. Il verbo compatire “indica che le viscere si muovono e fremono alla vista del male dell’uomo”. “Nei gesti e nelle azioni del buon samaritano riconosciamo l’agire misericordioso di Dio in tutta la storia della salvezza”, ha spiegato il Papa: “È la stessa compassione con cui il Signore viene incontro a ciascuno di noi: lui non ci ignora, conosce i nostri dolori, sa quanto abbiamo bisogno di aiuto e di consolazione. Ci viene vicino e non ci abbandona mai”.

“Il samaritano si comporta con vera misericordia: fascia le ferite di quell’uomo, lo trasporta in un albergo, se ne prende cura personalmente, provvede alla sua assistenza”. Tutto questo ci insegna che “la compassione, l’amore, non è un sentimento vago, ma significa prendersi cura dell’altro fino a pagare di persona. Significa compromettersi compiendo tutti i passi necessari per avvicinarsi all’altro fino a immedesimarsi con lui: ‘Amerai il tuo prossimo come te stesso’. Ecco il comandamento del Signore”.

Alla fine della parabola, Gesù ribalta la domanda del dottore della Legge e gli chiede: “Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?”. “Chi ha avuto compassione di lui”, la risposta “finalmente inequivocabile”. “All’inizio della parabola per il sacerdote e il levita il prossimo era il moribondo, al termine il prossimo è il samaritano che si è fatto vicino”, il commento del Papa: “Gesù ribalta la prospettiva: non stare a classificare gli altri per vedere chi è prossimo e chi no. Tu puoi diventare prossimo di chiunque incontri nel bisogno, e lo sarai se nel tuo cuore hai compassione, che è capacità di patire con l’altro”.

“Siamo tutti chiamati a percorrere lo stesso cammino del buon samaritano, che è figura di Cristo”, ha concluso Francesco: “Gesù si è chinato su di noi, si è fatto nostro servo, e così ci ha salvati, perché anche noi possiamo amarci come lui ci ha amato. Con lo stesso amore”. (Fonte: Agenzia SIR)

Per leggere il testo integrale della catechesi di Papa Francesco di mercoledì 27 aprile, cliccare qui

Cernusco sul Naviglio, 2 maggio 2016