UNIONI CIVILI: UNA LEGGE CHE SOLLEVA DUBBI

Le legge non rispecchierebbe la sentenza del 2010 della Corte costituzionale, che ha definito sia il fondamento giuridico a tutela della famiglia (articolo 29 della Costituzione), sia quello delle unioni di altro tipo (articolo 2).

La legge sulle unioni civili, dopo mesi di discussioni, spesso aspre ed accese, è stata approvata dal Senato, lo scorso 25 febbraio. A favore hanno votato 173 senatori, con la fiducia espressa sul maxi-emendamento, privo delle norme sulla stepchild adoption, presentato dal governo, dopo l’intesa raggiunta tra i partiti di maggioranza. Per il regolamento di Palazzo Madama, il voto di fiducia incorpora in sé il “sì” al provvedimento in approvazione e non prevede, dunque, due distinti voti. Adesso la legge passerà all’esame della Camera dei deputati.

La legge approvata suscita perplessità e dubbi in parecchi giuristi, perché non rispecchierebbe la sentenza del 2010 della Corte costituzionale, che ha definito sia il fondamento giuridico a tutela della famiglia (articolo 29 della Costituzione: “La Repubblica garantisce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”), sia quello delle unioni di altro tipo (articolo 2 della Costituzione: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti individuali dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove svolge la sua personalità”).


Il Senato (foto AFP / SIR)

Le parti del maxiemendamento che sollevano i maggiori dubbi – a parere di Alberto Gambino, ordinario di diritto privato nell’Università Europea di Roma, intervistato dall’Agenzia SIR – sono «la dichiarazione di unione civile alla presenza dell’ufficiale di stato civile e dei testimoni, esattamente come per il matrimonio; gli impedimenti, che sono gli stessi per le nozze; l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione (parole mutuate dall’art. 143 del codice civile sul matrimonio); l’accordo sull’indirizzo della vita familiare e la residenza comune (dall’art. 144); l’estensione della parola “coniuge” anche alle parti dell’unione civile; lo scioglimento automatico in caso di rettifica del sesso; il cognome comune. Un insieme di norme che creano un istituto sostanzialmente paramatrimoniale.» Sempre a parere del professor Gambino, con questa legge «si introduce nell’ordinamento un istituto elaborato ad hoc per le coppie formate da persone dello stesso sesso, che solo nominalmente non si chiama matrimonio, ma disciplina effetti che sono per gran parte gli stessi. L’istituto matrimoniale non sta infatti solo nel suo nome, ma soprattutto nelle sue caratteristiche strutturali. Gli scenari possibili sono una dichiarazione di incostituzionalità della Consulta o, ancor prima, un rinvio alle Camere da parte del Presidente della Repubblica per manifesta incostituzionalità; oppure, ove il testo superi queste due verifiche, la totale equiparazione al matrimonio, adozioni comprese.»

A parere di Sabino Cassese, giudice emerito della Corte costituzionale ed estensore della citata sentenza della Corte costituzionale, le linee da esse indicate «sono chiarissime: le unioni omosessuali vanno garantite e riconosciute, ma non come una famiglia, bensì come formazioni sociali; possono essere individuati dal Parlamento trattamenti omogenei tra coppia coniugata e coppia omosessuale, ma senza equiparazioni». Su queste linee, è sempre l’opinione di Cassese, «un accordo si potrebbe raggiungere non in mezza giornata ma in mezz’ora. Basta fare un elenco di tutti i diritti e le aspettative della coppia omosessuale che meritano riconoscimento e garanzia, quelli patrimoniali, quelli attinenti al trattamento previdenziale, quelli attinenti alla salute e all’assistenza, quelli attinenti alla vita privata e alle libertà, eccetera. Un legislatore provveduto dovrebbe farne un elenco e regolare tutti questi aspetti in materia autonoma, senza rinvio al matrimonio, considerato che la Corte ha detto chiaramente che si tratta di una formazione sociale, non di una famiglia.» Invece, così non è stato.

La legge non è neppure passata dalla competente Commissione del Senato, dove avrebbe potuto essere esaminata con maggior attenzione e dove si sarebbero potuto fare audizioni e più approfondite riflessioni, ma è approdata subito in aula. Questo evidentemente per un preciso disegno politico, da parte dei promotori della legge, che si intendeva perseguire, poi in parte naufragato. Con meno arroganza e più rispetto si poteva realizzare un consenso politico e popolare su norme rispettose della Costituzione e delle linee indicate dalla Consulta. A noi non sembra proprio che abbia vinto, in questo caso, l’amore, come sostenuto dal presidente del consiglio dei ministri.

«La famiglia si fonda sul matrimonio, atto libero e fedele di amore di un uomo e di una donna. È l’amore – si legge nella “Dichiarazione comune di Papa Francesco e del Patriarca Kirill di Mosca, firmata lo scorso 12 febbraio a Cuba - che sigilla la loro unione ed insegna loro ad accogliersi reciprocamente come dono. Il matrimonio è una scuola di amore e di fedeltà. Ci rammarichiamo che altre forme di convivenza siano ormai poste allo stesso livello di questa unione, mentre il concetto di paternità e maternità come vocazione particolare dell’uomo e della donna nel matrimonio, santificato dalla tradizione biblica, viene estromesso dalla coscienza pubblica.» Nella medesima dichiarazione c’è l’invito, ai cattolici e agli ortodossi, a «testimoniare che la famiglia è un cammino di santità, che testimonia la fedeltà degli sposi nelle loro relazioni reciproche, la loro apertura alla procreazione e all’educazione dei figli, la solidarietà tra generazioni e il rispetto per i più deboli». A questa testimonianza siamo oggi, a maggior ragione, chiamati. Pronti anche a correre il rischio di essere etichettati come “tradizionalisti”. Il tutto a viso aperto, in modo accogliente e senza offendere nessuno.

Carlo & Ambrogio

Per approfondire:
- Unioni civili: approvato al Senato il riconoscimento delle coppie dello stesso sesso e delle convivenze, cliccare qui

Cernusco sul Naviglio, 29 febbraio 2016