Il sublime concerto. Visita al Santuario della Beata Vergine dei Miracoli di Saronno.

Nella mia memoria resta il ricordo della preghiera, in una particolare circostanza della vita familiare, per la richiesta di una grazia alla Beata Vergine dei Miracoli di Saronno. Questo Santuario affiancava quelli della Madonna del Bosco e di Caravaggio nella devozione a Maria della gente lombarda. Sono tornato a rivedere questo luogo del ricordo, trovando ciò che allora non avevo percepito: uno scrigno d’arte e di bellezza. Il Santuario fu edificato a partire dal 1498 per dare dimora alla statua della Madonna del miracolo della metà del XIV secolo, che stava in una cappella della strada Varesina e veniva ritenuta dispensatrice di guarigioni. La facciata (1596), progettata dall’architetto Pellegrino Tibaldi, appare solenne e ricca di motivi ornamentali, quasi disarmonica rispetto al precedente ed elegante tiburio (1508) dell’Amadeo e al campanile (1511-16) di Paolo della Porta che divenne modello per numerose altre chiese. Fu San Carlo Borromeo ad officiare il 19 Settembre 1581 il rito della traslazione della statua. Il primo grande artefice che lavorò al Santuario fu Bernardino Luini, presente con una serie di affreschi nell’antipresbiterio, nel presbiterio e nell’abside. Fu l’ultimo grande incarico della sua vita. Scrisse un cronista a proposito di una lunetta affrescata nel portico: “… sopra la portiera della detta cucina … depinse la Natività di N.S. … opera bella et rara, per sua devozione senza altro salario”. Il ciclo pittorico di Saronno si compone di affreschi che riguardano la vita della Madonna a partire dallo “Sposalizio della Vergine”, dove i pretendenti delusi non mostrano segni di rancore, anzi sul loro volto risulta singolarmente un accenno di sorriso, e dalla disputa di “Gesù tra i dottori” nell’antipresbiterio. Seguono l’"Adorazione dei Magi" e la “Presentazione di Gesù al tempio” nel presbiterio. Infine si devono al pittore tutte le decorazioni dell’abside comprese le figure delle Sibille, considerate profetesse dell’annuncio evangelico. Quando morì Luini nel 1532, toccò a Gaudenzio Ferrari prenderne il posto per affrescare la grande cupola. Il pittore di Valduggia, autore di importanti interventi a Varallo nel Sacro Monte, stipulò il contratto con il Santuario nel 1534. Dovendo rappresentare il Paradiso scelse il tema iconografico degli angeli musicanti, dipinti in un turbinoso fluttuare di vesti e di colori, immersi in una luce gioiosa e posti su quattro cerchi concentrici a partire da angioletti nudi fino a scendere verso gli angeli impegnati in un variegato concerto. Vediamo angeli cantori tra libri, corali e cartigli, e musicanti che suonano strumenti a corde, a fiato e a percussione. Si contano 56 strumenti musicali diversi tra quelli antichi,come in un prezioso catalogo, e quelli di fantasia. Alcuni sono strumenti impossibili o posti in situazioni quasi irriverenti, come per l’angelo che suona la cornamusa a due sacche all’altezza del seno. In quest’armonia che compone in un concerto celeste l’apparente dissonanza dell’insieme, si percepisce la bellezza accogliente del Paradiso. Si sa di come lo stesso Gaudenzio amasse la musica e suonasse lira e liuto; dovette compiere un’accurata ricerca per rappresentare alpenhorne (corno delle Alpi), bombarda, cornamusa, siringa, ghironda, nyastaranga, ribeca e altri strumenti dai nomi per noi improbabili e a cui non riusciamo subito ad accostare l’immagine. Non solo il Ferrari attesta la vicinanza del santuario all’arte dei Sacri Monti, ma anche la presenza di Andrea da Milano (poi rinominato Andrea da Saronno) che lavorò a due gruppi scultorei in legno (1531) che occupano le cappelle laterali del Santuario. Le statue, purtroppo pesantemente ridipinte, dovevano accostare i fedeli alla vita di Cristo secondo tradizione dei Frati Minori, cui era attribuita la celebrazione delle funzioni religiose. Nella Cappella di sinistra vediamo un Cenacolo che mostra il suo debito con il modello di Leonardo, e raffigura l’istante in cui Gesù annuncia che sarà tradito; in quella di sinistra vi è un “Compianto sul Cristo morto” che ha subito varie risistemazioni, poiché risulta composto da statue provenienti da scene diverse che anticamente dovevano essere presenti nella chiesa. Dietro i gruppi scultorei fanno da fondale alcune grandi tele di Camillo Procaccini (1598). Come sempre colpisce e commuove l’affezione e la devozione dei fedeli che hanno promosso e accompagnato la realizzazione di luoghi come questo nel corso di lunghi periodi temporali, e la capacità degli artisti di coinvolgersi nei temi religiosi svolti.

Paolo Moraschini