IL POTERE E IL SENSO DELL’UMILTA’

Santa Brigida nasce nel 1302, in Svezia in condizioni di benessere: suo padre era governatore della regione dell’Upland e lei vive per un certo periodo accanto alla giovane sposa del re. Secondo la consuetudine del tempo si sposa giovanissima, ad appena 14 anni: la sua fu un’unione felice, rallegrata da otto figli. Il marito Ulf, che si trova sulla sua stessa lunghezza d’onda, condivide la sua ansia per i poveri, vive un’intensa esperienza spirituale, l’accompagna nei suoi pellegrinaggi da uno dei quali, a Santiago di Compostella, torna gravemente malato e Brigida lo assiste come la più premurosa ed affettuosa delle infermiere, ma Ulf chiude gli occhi il 12 febbraio 1344. Teneramente mamma, con fervore vive la sua vedovanza; ritorna in Svezia, rinuncia a tutti i suoi beni, si dedica all’assistenza dei malati, si lascia assorbire dalla contemplazione di Dio e sogna di fondare un ordine religioso. Nel 1349 parte per Roma, accompagnata dalla figlia Caterina (anch’essa venerata come Santa). Brigida si dedica tanto intensamente alla cura dei poveri e dei malati da diventare vittima degli strozzini e a sua volta mendicante. Il movimento religioso che aveva in mente non diventerà come lei lo aveva sognato e le prime professioni si celebreranno solo due anni dopo la sua morte. Il Papa, i cardinali e i re ai quali rivolge i suoi rimproveri, continueranno imperterriti per la loro strada. Muore il 23 luglio 1373 e i romani, che ormai la considerano una di loro, già la considerano una santa.

Non si nasce santi, ma si può diventare umili e di qui si apre la porta per la santità, che un teologo del passato avrebbe chiamato: ”uomo integrale”. Brigida nasce in condizioni economiche agiate, tanto che presto si trova accanto alla giovane sposa del re, più per censo che per sue doti giovanili ancora in erba. Non si era neppure affaticata a conquistare, con vari mezzi, la simpatia dei vicini con l’espressione di abili doti: tutto era dovuto e tutto doveva brillare. Quali ambite mete splendevano all’orizzonte di quella mente giovanissima? Da quel cuore poteva certo elevarsi dell’orgoglio e della sicurezza che il mondo girava sempre a suo favore. Sotto una nebulosa oscura di sogni, si stava formando un nuovo pensiero: la sovrabbondanza dove porterà? A soli 14 anni arriva all’apogeo della propria vita contraendo il matrimonio. Brigida doveva essere attorniata da un team molto preparato, dal quale lei si era nutrita costantemente di fiducia ben riposta. Mettere al mondo otto figli, a quell’età, in quell’ambiente colto, significa che il fuoco della maturità bruciava in quel cuore tutte le contraddizioni di questo mondo. Brigida era più che mai aperta alla dimensione sociale, tanto che, con suo marito si dedicavano anche ai poveri e agli ammalati abbozzando un luogo che nel divenire si costituiva come ospedale, pur con tutti i limiti delle conoscenze del tempo.

Entrambi i coniugi si erano buttati nell’avventura cristiana cercando l’essenza: lasciarsi investire dall’amore di Dio per distribuirlo ai fratelli di tutto il mondo. Il teatro della vita cambia la scena e nel secondo atto di quelle vite appaiono la fatica dei pellegrinaggi, la malattia, la morte del marito, l’abbandono della classe sociale, la solitudine della famiglia e parte per vivere a Roma. Ciò che era stato seminato nello Spirito, l’humus della Grazia ha generato la pianta dell’umiltà. Una parola, questa, che ci ricorda l’humus sito nella parte più bassa della terra che viene calpestata dai nostri piedi, ma nutre le radici e fa crescere la vita. La radice della nostra vita è innestata nel peccato originale, che scorre nelle nostre vene spirituali, come veleno, il cui antidoto è l’humus della umiltà.

Il peccato originale non solo sta all’origine dell’uomo, ma è una sorta di algoritmo per la psicologia, ancor oggi per noi, che soggiace alla tentazione nella forma dell’illusione, seppure Dio avesse già esibito le prove della sua trasparenza, tuttavia noi, forti del sospetto che Dio ci soggioghi con la sua forma di bontà, sperimentiamo la nudità della nostra costruzione razionale ed è proprio per questo che siamo sempre al palo di ogni bocciatura, circa l’esame della fiducia. Preferiamo credere in noi stessi, nella nostra stessa ragione, ma chi ti ha dato la ragione? … , piuttosto che aprirci alla fiducia di un Dio che ha dato la vita in fidejussione, per dire che: tutto quello che avete visto e sentito è vero: “Io sono la verità”. L’umiltà non accoglie la forma dell’illusione, ma crede, cioè non ammette ambiguità perché unica è la via ed è unica la vita che siamo chiamati a spendere sulle promesse di Dio che sono i frutti dell'umiltà: il timore di Dio, la ricchezza spirituale, l'onore e la vita. L’umiltà non guarda il proprio interesse, ma si fida, fino al punto di annientare sé stessi per dare all’altro, tutta la propria vitalità, con l’ originalità della propria vita, perché di fronte al povero, l’umiltà non si fa padrona di una situazione da risolvere, ma si fa povera per colmare la povertà dell’altro: l’uomo che incontra è il fratello. L’uomo borioso trova da ridire di tutto e su tutto, anche quello che non sa, e nulla avvalora, mentre l’umiltà sa ammirare ogni immagine creata, contemplando la sua bellezza, senza avere il desiderio di impossessarsi, per stracciarla e rovinarla. L’umiltà vede la mano di Dio in ogni respiro, in ogni costruzione, in ogni intelligenza … e se ne rallegra; per questo gli umili sono felici.

Come la mano rimanda alla persona, così quelle mani divine continuano ad operare ogni vita, dalla creazione all’origine della loro presenza sulla terra, per mostrare agli umili la loro presenza gioiosa, confortante, chiarificatrice. Solo l’umile riconosce la voce della Vita nelle situazioni, negli incontri, nelle difficoltà, come dice la Parola: “; Il timore di Dio è scuola di sapienza: prima della caduta, il cuore dell'uomo si esalta, prima della gloria c'è l'umiltà”. San Francesco nel suo cantico dice: Laudato si', mi' Signore, per sor'aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta”. L’umiltà ha il suo stile di vita, per cui continua a scendere, e fa crescere sulla terra l’humus del bosco. C’è una bella antica leggenda di un rabbino. Uno studente andò da lui e disse: “Nei tempi passati vi furono uomini che videro Dio in faccia. Perché questo non succede più?” il rabbino rispose: “Perché oggi nessuno sa chinarsi tanto”. Il volto dell’umiltà può essere scoperto nel quotidiano del lavoro, nella frequentazione della famiglia, nella conoscenza dell’uomo, nel sondare tutte le strade di questa meravigliosa natura. Il lavoro non può essere visto come fatica, ne la famiglia come la sopportazione del convivere, ne la conoscenza dell’uomo come motivo di guadagno o di gloria e neppure la natura come la paura di vivere sulla terra. Queste categorie devono essere recepite come lo scrigno, dove nella molteplicità delle sue espressioni, possiamo trovare la gioia di lavorare, la fraternità della famiglia, la misura senza limiti che l’uomo porta con sé e l’immensità della natura, sostenuta da infinite leggi. Da questo chinarsi per attingere si capisce come il senso d’umiltà sia collegato ad una ‘ricchezza’ e come essa porti inevitabilmente a questa ricchezza in termini di ricchezza interiore, cioè ad una capacità di accoglienza unica che altrimenti resterebbe preclusa. Ma per attingere, bisogna chinarsi… Umiltà è saper dare e ricevere. I genitori si consumano nell’esercizio dell’educazione ai figli i quali ricevono la bellezza della vita, una potenza di vita, una gioia di vita da conquistare, che a suo tempo anche loro perderanno, lasciando la visibilità di sé alla generazione futura. Allo stesso modo, Dio nella creazione brucia il suo Spirito nella creatura, mentre la sua visibilità scompare, ma rimane nell’umiltà della sua serva. Solo se sei umile, sarai genitore, perché l’umiltà genera. Liberati in questo modo dalla nostra cecità, la nostra intelligenza ed i nostri sentimenti , come i tasti di un pianoforte, non avranno altra gioia se non quella di lodare la vita del Creatore, senza altro desiderio: Canti la mia bocca la lode del Signore

e benedica ogni vivente il suo santo nome,

in eterno e per sempre, perché eccelso è il Signore,

che guarda verso l'umile.

Paolo Fiorani

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