“RENDERE RAGIONE DELLA SPERANZA CHE È IN NOI”

“La nostra speranza non è un concetto, non è un sentimento, non è un telefonino, non è un mucchio di ricchezze: no, la nostra speranza è una Persona, è il Signore Gesù che riconosciamo vivo e presente in noi e nei nostri fratelli, perché Cristo è risorto”: è quanto ha detto il Papa durante l’udienza di mercoledì 5 aprile.


Foto archivio SIR

 

“La Prima Lettera dell’apostolo Pietro porta in sé una carica straordinaria!”, ha esordito Francesco: “Riesce a infondere grande consolazione e pace, facendo percepire come il Signore è sempre accanto a noi e non ci abbandona mai, soprattutto nei frangenti più delicati e difficili della nostra vita”. “Ma qual è il segreto di questa Lettera?”, ha chiesto il Papa ai fedeli, a cui poi si è rivolto così: “Il segreto sta nel fatto che questo scritto affonda le sue radici direttamente nella Pasqua, nel cuore del mistero che stiamo per celebrare, facendoci così percepire tutta la luce e la gioia che scaturiscono dalla morte e risurrezione di Cristo”, la risposta di Francesco: “È per questo che san Pietro ci invita con forza ad adorarlo nei nostri cuori. Lì il Signore ha preso dimora nel momento del nostro Battesimo, e da lì continua a rinnovare noi e la nostra vita, ricolmandoci del suo amore e della pienezza del suo Spirito. Ecco allora perché l’Apostolo ci raccomanda di rendere ragione della speranza che è in noi”.

“I mafiosi pensano che il male si può vincere col male, e così fanno vendetta e tante cose che tutti sappiamo, ma non conoscono cosa sia l’umiltà, la misericordia e la mitezza: perché i mafiosi non hanno speranza. Pensate a questo!”. È l’invito rivolto dal Papa ai fedeli presenti in piazza San Pietro. Della speranza, ha spiegato Francesco, “non si deve tanto rendere ragione a livello teorico, a parole, ma soprattutto con la testimonianza della vita, e questo sia all’interno della comunità cristiana, sia al di fuori di essa”.

“Se Cristo è vivo e abita in noi, nel nostro cuore, allora dobbiamo anche lasciare che si renda visibile, non nasconderlo, e che agisca in noi”, l’esortazione del Papa: “Questo significa che il Signore Gesù deve diventare sempre di più il nostro modello di vita e che noi dobbiamo imparare a comportarci come lui si è comportato. Fare lo stesso che faceva Gesù”. “La speranza che abita in noi, quindi, non può rimanere nascosta dentro di noi, nel nostro cuore”, ha ammonito Francesco: “Sarebbe una speranza debole, che non ha il coraggio di uscire fuori e farsi vedere. La nostra speranza, come traspare dal Salmo 33 citato da Pietro, deve necessariamente sprigionarsi al di fuori, prendendo la forma squisita e inconfondibile della dolcezza, del rispetto e della benevolenza verso il prossimo, arrivando addirittura a perdonare chi ci fa del male”.

“Una persona che non ha speranza non riesce a perdonare, non riesce a dare la consolazione del perdono e ad avere la consolazione di perdonare”, ha aggiunto il Papa: “Sì, perché così ha fatto Gesù, e così continua a fare attraverso coloro che gli fanno spazio nel loro cuore e nella loro vita, nella consapevolezza che il male non lo si vince con il male, ma con l’umiltà, la misericordia e la mitezza”. “Ogni volta che noi prendiamo la parte degli ultimi e degli emarginati o che non rispondiamo al male col male, ma perdonando senza vendetta, perdonando e benedicendo, ogni volta che facciamo questo, noi risplendiamo come segni vivi e luminosi di speranza, diventando così strumento di consolazione e di pace, secondo il cuore di Dio”. Lo ha assicurato il Papa.

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Cernusco sul Naviglio, 6 aprile 2017