FEDELTÀ E PERSEVERANZA

Non fermarci alle cose vicine e alla logica che appartiene al nostro modo di leggere la realtà. Nel gioire per la “venuta imminente del nostro Redentore”, siamo chiamati a condividere questa gioia, “donando conforto e speranza ai poveri, agli ammalati, alle persone sole e infelici”.


Foto archivio SIR – Riproduzione riservata

Il Vangelo di Matteo, terza domenica di Avvento (secondo il Rito Romano, mentre per il Rito Ambrosiano siamo alla quinta domenica di Avvento, ndr) dedicata al tema della gioia, si apre con una domanda drammatica: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”. Giovanni il Battista è arrestato per ordine di Erode e si trova in prigione nella fortezza di Macheronte, presso il mar Morto. È al termine della sua missione e dubita, si interroga; come dire, non riconosce nel Cristo il Messia da lui predicato. Domanda che nasconde un altro interrogativo: quale volto ha il Messia che Giovanni si attende? Quale volto ha per l’uomo? Quello di un giudice inflessibile, che punisce con la spada potenti e prepotenti? Allora certo sconvolge Gesù che siede a mensa con i peccatori, entra nella casa del pubblicano, che perdona e chiama alla conversione.

La domanda di Giovanni, in un certo senso, è la stessa che si pone il credente in ricerca; è il dubbio che fa scoprire la vera fede e mette in discussione le nostre certezze, spesso false. In un certo senso, sentiamo anche nostra questa domanda; facile immaginare come potrebbe continuare il discorso: se sei veramente colui che deve venire a salvarci, perché non vedo segni grandi e straordinari. Giovanni è recluso, ha vissuto fino in fondo l’annuncio, è rimasto fedele a quell’attesa del Messia il cui volto faticosamente cerca di conoscere. Forse si aspetta una ricompensa per il suo coraggio; è recluso e nessuno viene a liberarlo. Come risponde Gesù? Elogia Giovanni parlando alle folle: non è una canna sbattuta dal vento nel deserto, non è un uomo vestito con abiti di lusso che abita nei palazzi dei re. È un profeta, “anzi, più che un profeta”. È colui che giungerà a cogliere la verità profonda, a vedere il volto di Dio in Gesù.

Ancora una volta siamo posti di fronte ad una verità, e cioè a non fermarci alle cose vicine, alla logica che appartiene al nostro modo di leggere la realtà, ma guardare oltre. E Giovanni, benché recluso, è rimasto fedele a Dio e alla Parola, fino in fondo, anche nel dubbio; fedele tanto da testimoniare la speranza che non delude. Di fronte a quella domanda che gli amici di Giovanni gli portano, Gesù non risponde direttamente, ma attraverso il suo operare e le sue parole sono eco del primo dei libri profetici, Isaia: se questi parla di un Dio attraverso il quale giunge la vendetta, la ricompensa divina, la salvezza, allora si apriranno gli occhi dei ciechi, si schiuderanno gli orecchi dei sordi e lo zoppo salterà come un cervo, Matteo, nel portare la risposta di Gesù, indica che il Messia atteso non è un giustiziere, non un potente trionfante, ma uno che guarisce, fa il bene, consola e soprattutto si rivolge ai poveri: “Annunciate a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo, la buona notizia. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo”.

Papa Francesco, all’Angelus, dice: “Non sono parole, sono fatti che dimostrano come la salvezza, portata da Gesù, afferra tutto l’essere umano e lo rigenera. Dio è entrato nella storia per liberarci dalla schiavitù del peccato; ha posto la sua tenda in mezzo a noi per condividere la nostra esistenza, guarire le nostre piaghe, fasciare le nostre ferite e donarci la vita nuova. La gioia è il frutto di questo intervento di salvezza e di amore di Dio”.

Fedeltà, pazienza e perseveranza, sono le tre parole che Francesco consegna in questa domenica,

per dire che, “al suo ritorno, la nostra gioia sarà piena”. Invito a cogliere i “segni del suo approssimarsi”; segni che ci dicono, dice Francesco, che il Signore “bussa alla nostra porta, bussa al nostro cuore, per venire vicino a noi; ci invitano a riconoscere i suoi passi tra quelli dei fratelli che ci passano accanto, specialmente i più deboli e bisognosi”. Nel gioire per la “venuta imminente del nostro Redentore”, siamo chiamati a condividere questa gioia, “donando conforto e speranza ai poveri, agli ammalati, alle persone sole e infelici”. E il pensiero va alle famiglie, bambini, anziani, persone malate di Aleppo e della Siria. La guerra, dice Papa Francesco, “è un cumulo di soprusi e di falsità”.

Fabio Zavattaro per Agenzia SIR

Riproduzione riservata

Per leggere il testo completo dell’Angelus di Papa Francesco di domenica 11 dicembre 2016, cliccare qui

Cernusco sul Naviglio, 12 dicembre 2016