IL PAPA IN GEORGIA E AZERBAIJAN: PACE, DIALOGO E FAMIGLIA

I temi al centro del 16° viaggio apostolico internazionale. Papa Francesco si è anche soffermato sulla teoria del gender: “Io ho accompagnato, nella mia vita di sacerdote, di vescovo e di Papa, persone con la tendenza omosessuale … È un problema umano, di morale. E si deve risolvere come si può, sempre con la misericordia di Dio, con la verità, ma sempre col cuore aperto”.


Papa Francesco durante il suo viaggio in Georgia e Azerbaigian
Foto SIR – Riproduzione riservata

Un forte appello alla pace e al dialogo, un invito a difendere la famiglia oggi attaccata da una guerra mondiale che vuole distruggere il matrimonio con le armi dell’ideologia. Si può riassumere così il viaggio – “breve, grazie a Dio” ha detto il Papa – di Francesco in Georgia e Azerbaigian. Visita che conclude l’itinerario nel Caucaso iniziato a giugno in Armenia. Così in aereo, con i giornalisti, ripete e integra quanto aveva detto rispondendo alla testimonianza di una madre, Irina, nella chiesa dell’Assunta a Tbilisi: il matrimonio è l’unione di un uomo e una donna, immagine di Dio. Quando si distrugge questa unione si sporca l’immagine stessa di Dio. Certo ci sono momenti difficili, piccole crisi, per questo la comunità, i sacerdoti devono essere vicini a queste persone.

Quindi si sofferma sulla teoria del gender: “Io ho accompagnato, nella mia vita di sacerdote, di vescovo e di Papa, persone con la tendenza omosessuale”, dice Francesco in aereo ai giornalisti; “li ho accompagnati e avvicinati al Signore”. E ricorda di aver ricevuto in Vaticano un uomo sposato, che prima era donna. Poi rivolto ai giornalisti aggiunge: “Per favore ora non dite: il Papa santificherà i trans! Già mi vedo le prime pagine dei giornali… È un problema umano, di morale. E si deve risolvere come si può, sempre con la misericordia di Dio, con la verità, ma sempre col cuore aperto”. Una cosa è la persona che ha queste tendenze o che cambia sesso e va accompagnato – “oggi Gesù farebbe così” – e un’altra cosa “è fare dell’insegnamento nelle scuole su questa linea, per cambiare la mentalità: queste le chiamo colonizzazioni ideologiche”.

Più volte nei suoi discorsi in Georgia e Azerbaigian torna la parola pace. Nella chiesa assiro-caldea di San Simone – antica comunità che parla la lingua di Gesù, l’aramaico – pronuncia una preghiera in questa “notte dei conflitti che stiamo attraversando”. Ha di fronte i vescovi caldei che vengono dal loro Sinodo a Erbil, e il patriarca Sako che lo invita a Bagdad: “Fa’ gustare la gioia della tua resurrezione ai popoli sfiniti dalle bombe, solleva dalla devastazione l’Iraq e la Siria”; il Signore “vinca la durezza dei cuori prigionieri dell’odio e dell’egoismo”. Prega per le vittime innocenti, i bambini, gli anziani, i cristiani perseguitati. Bambini e minori per i quali, in aereo, chiede che a livello internazionale ci sia una dichiarazione, un riconoscimento. Quello che accade è un peccato contro Gesù Cristo, perché “la carne di quei bambini, di quella gente ammalata, di quegli anziani indifesi è la carne di Gesù Cristo”.

Le religioni siano “albe di pace, semi di rinascita tra devastazioni di morte, echi di dialogo che risuonano instancabilmente, vie di incontro e di riconciliazione per arrivare anche là dove i tentativi delle mediazioni ufficiali sembrano non sortire effetti”. Ecco dunque il ruolo che Papa Francesco chiede ai leader religiosi: promuovere il dialogo e la multiculturalità, aprirsi all’accoglienza e all’integrazione, così “si aprono le porte dei cuori di ciascuno e le porte della speranza per tutti”.

Certo non mancano le difficoltà e le resistenze. A Tbilisi i leader ortodossi hanno disertato la celebrazione, presieduta dal Papa, nella stadio della capitale georgiana; ma la presenza dell’anziano Ilia II all’aeroporto e l’accoglienza nella cattedrale patriarcale Svetyskhoveli, centro spirituale della Chiesa ortodossa georgiana, parlano di volontà di dialogo, di cammino da fare assieme, perché, come ha detto il patriarca Ilia II, “l’unità si trova nella vera fede e soltanto la vera fede educa l’umanità”. Francesco così può dire, dopo l’incontro con il leader dei musulmani del Caucaso, nella moschea Heydar Aliyev: “La fraternità e la condivisione che desideriamo accrescere non saranno apprezzate da chi vuole rimarcare divisioni, rinfocolare tensioni e trarre guadagni da contrapposizioni e contrasti”.

Le religioni, dunque, sono chiamate a “edificare la cultura dell’incontro e della pace, fatta di pazienza, comprensione, passi umili e concreti”; e mai “devono essere strumentalizzare, mai possono prestare il fianco ad assecondare conflitti e contrapposizioni”. Preghiera e dialogo sono tra loro profondamente correlati e sono “condizione necessaria per la pace nel mondo”. Quella vera è fondata “sul rispetto reciproco, sull’incontro e la condivisione, sulla volontà di andare oltre i pregiudizi e i torti del passato, sulla rinuncia alle doppiezze e agli interessi di parte” e animata dal “coraggio di superare le barriere, debellare le povertà e le ingiustizie, di denunciare e arrestare la proliferazione delle armi e i guadagni iniqui fatti sulla pelle degli altri”.

Fabio Zavattaro per Agenzia SIR

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Cernusco sul Naviglio, 3 ottobre 2016