LA MONDANITÀ CI FA CIECHI
Anche nei nostri giorni ci sono tanti Lazzaro, ricorda Francesco; “siamo chiamati a inquietarci, a trovare vie per incontrare e aiutare, senza delegare sempre ad altri” o rimandare. “Il tempo per soccorrere gli altri è tempo donato a Gesù, è amore che rimane: è il nostro tesoro in cielo, che ci procuriamo qui sulla terra”. I poveri “non sono un’appendice del Vangelo, ma pagina centrale”.
Papa Francesco presiede la Messa per il Giubileo dei catechisti (Vaticano,
25 settembre 2016)
Foto SIR – Riproduzione riservata
In tutte le parabole l’unica persona che ha un nome è il povero Lazzaro
che, coperto di piaghe, giace abbandonato e dimenticato davanti la porta del
ricco “che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si
dava a lauti banchetti”. Nell’antica Roma i membri del collegio sacerdotale
incaricati di organizzare un banchetto solenne in occasione dei sacrifici in
onore di Giove Capitolino venivano indicati con il nome di ‘epulone’. Nel
Vangelo di Luca il proprietario della casa sulla cui soglia stava Lazzaro è
indicato semplicemente con il termine “uomo ricco”. Non serve altro, è un uomo
che non ha nome perché in un certo senso rappresenta ogni uomo e ogni donna; è
uno che non si accorge di nulla, che non vede il povero alla sua porta. Lazzaro
è un mendicante e ha fame e desidera sfamarsi, anche solo delle briciole che
cadono dal tavolo del ricco.
Da un lato c’è chi
banchetta con ostentazione, che festeggia quotidianamente; dall’altro lato il povero cui solo i cani
prestano un minimo di attenzione, leccandogli le ferite. Quel ricco è solo con
il proprio egoismo, malato di mondanità, per usare le parole del Papa.
Nell’omelia alla messa celebrata per i catechisti, Francesco ricorda che l’uomo
ricco in realtà non fa del male a nessuno, non si dice che è cattivo, ma ha una
infermità più grande di quella di Lazzaro: “soffre di una forte cecità, perché
non riesce a guardare al di là del suo mondo, fatto di banchetti e di bei
vestiti. Non vede oltre la porta di casa sua, dove giace Lazzaro, perché non
gli interessa quello che succede fuori. Non vede con gli occhi perché non sente
col cuore. Nel suo cuore è entrata la mondanità che anestetizza l’anima. La
mondanità è come un ‘buco nero’ che ingoia il bene, che spegne l’amore”.
Chi soffre di questa cecità – afferma il Papa – non si accorge degli altri, è indifferente a tutto. Anche oggi ci sono comportamenti strabici, c’è chi “guarda con riverenza le persone famose, di alto rango, ammirate dal mondo, e distoglie lo sguardo dai tanti Lazzaro di oggi, dai poveri e dai sofferenti che sono i prediletti del Signore”.
È chiamato per nome, il povero
mendicante. Lazzaro, cioè El azar che significa “Dio viene in aiuto”.
L’uomo ricco invece non ha nome, “la sua vita cade dimenticata, perché chi vive
per sé non fa la storia”. Il cristiano invece deve fare storia, afferma Papa
Francesco: “l’insensibilità di oggi scava abissi invalicabili per sempre”. La
vita di Lazzaro non si è dissolta nel nulla; egli è l’uomo mite, non prova
risentimento verso il ricco che lo ha ignorato. La strada della mitezza e della
pazienta lo ha portato tra le braccia di Dio e partecipa al banchetto di
Abramo. Il ricco, alla sua morte, ha una sepoltura che manifesta la sua
ricchezza, ma il suo stile di vita lo ha portato agli inferi. “La vita opulenta
di quest’uomo senza nome è descritta come ostentata: tutto in lui reclama
bisogni e diritti. Anche da morto insiste per essere aiutato e pretende i suoi
interessi. La povertà di Lazzaro, invece, si esprime con grande dignità: dalla
sua bocca non escono lamenti, proteste o parole di disprezzo. È un insegnamento
valido” ricorda il Papa nella sua omelia.
I cristiani non sono tristi o lamentosi: “non siamo profeti di sventura che si compiacciono di scovare pericoli o deviazioni; non gente che si trincera nei propri ambienti, emettendo giudizi amari sulla società, sulla Chiesa, su tutto e tutti, inquinando il mondo di negatività”. Nelle sofferenze dell’inferno il ricco della parabola vive la stessa realtà vissuta da Lazzaro, che adesso vede in alto, accanto a Abramo. Non ha potuto portare nulla della sua ricchezza con se; ora supplica come supplicava il povero, ignorato e rifiutato; si fa mendicante e supplica per tre volte Abramo, invano.
Anche nei nostri giorni ci sono tanti Lazzaro, ricorda Francesco; “siamo chiamati a inquietarci, a trovare vie per incontrare e aiutare, senza delegare sempre ad altri” o rimandare. “Il tempo per soccorrere gli altri è tempo donato a Gesù, è amore che rimane: è il nostro tesoro in cielo, che ci procuriamo qui sulla terra”. I poveri “non sono un’appendice del Vangelo, ma pagina centrale”.
Fabio Zavattaro per Agenzia SIR
Riproduzione riservata
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Cernusco sul Naviglio, 26 settembre 2016