OSPEDALE UBOLDO: Un gruppo orgoglioso di lavorare per i propri pazienti
Caro Mario, qual è stata l’impressione che si andava concretizzando giorno dopo giorno, nel crescendo della gravità clinico-epidemiologica che si svolgeva sotto i tuoi occhi?
La prima sensazione che ho avvertito è stata quella di incredulità. Viene difficile pensare di trovarsi in mezzo ad una pandemia in un contesto sanitario come quello odierno.
Successivamente è sopraggiunto il timore per tutti i miei cari, pensieri su come poterli tenere al sicuro, sapendo che io stesso potevo essere la causa di contagio frequentando un ambiente come quello ospedaliero, che giorno dopo giorno vedeva crescere il numero di pazienti ricoverati per Covid. Era inoltre forte la preoccupazione per i nostri pazienti oncologici, spesso immunodepressi, quindi a più alto rischio di contagio.
Di certo, nonostante tutte le difficoltà, non è mai venuto meno lo spirito di servizio e la volontà di aiutare il paziente oncologico che presenta già di per sé problematiche importanti, alle quali si aggiungeva pure il timore di un possibile contagio. Di certo tutto è stato fatto, per tutelare la loro salute, affinché potessero proseguire con le terapie.
La gravità dell'esperienza quotidiana ha favorito le dinamiche solidali di gruppo tra i Colleghi oppure si sono palesati evidenti manifestazioni di sconcerto anche patologico (la cosiddetta sindrome del burn-out) in qualcuno dei componenti del gruppo?
La gravità della situazione sanitaria ha consolidato il senso di appartenenza ad un gruppo che è orgoglioso di lavorare per i nostri pazienti a prescindere dalle difficoltà. Ricordo che nel mese di maggio nonostante la carenza di personale dovuta al Covid, con un piccolo gruppo di infermieri siamo riusciti ad effettuare tutte le terapie previste. Nei loro volti si intravedeva la soddisfazione di essere riusciti comunque a svolgere bene il proprio lavoro….
D’altra parte, è innegabile che, in qualche operatore, la paura del contagio e delle sue possibili conseguenze ha causato manifestazioni di ansia che si sono accentuate quando si veniva a conoscenza di colleghi ricoverati o venuti a mancare.
Ti sembra sia cambiato l'atteggiamento della popolazione che si rivolge ai Servizi dalla cosiddetta prima ondata alla seconda?
Certamente durante la prima ondata si avvertiva la solidarietà e vicinanza della popolazione, che avvertiva lo sforzo importante degli operatori sanitari. Queste sensazioni si sono affievolite nel tempo, probabilmente dovute alla consapevolezza di un problema che non poteva essere risolto in un breve periodo.
Avete messo in atto qualche idea originale per facilitare il clima all'interno del Gruppo e verso gli Utenti?
Non parlerei di idee originali, ma piuttosto di determinazione, da parte dell’equipe, di realizzare, con maggior impegno, l’accoglienza al fine di trasmettere sicurezza e fiducia ai pazienti.
Il dottor Comandè rimasto a un certo punto da solo (su un totale di sette medici) durante la cosiddetta “prima ondata”, perché gli altri colleghi erano ammalati a causa del virus, è appena rientrato in Servizio dopo un ricovero ospedaliero dovuto all’infezione da Covid-19.
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