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IL PRESEPIO CI DICE CHE C’È UN ALTRO SGUARDO POSSIBILE

Anche attraverso i media il presepio diventa una domanda e un appello. Si rimane ad ascoltare chi parla oggi di presepio senza mai ricordare che quel bimbo aveva due genitori migranti e rifiutati.

Il presepio, memoria francescana dell’infinitamente piccolo, ritorna con forza nel dibattito mediatico che, pur con gli inevitabili limiti, offre qualche spunto per approfondire un significato e per rileggere con le lenti dell’attualità un messaggio antico. Per compiere questo piccolo passo non basta però il richiamo alle tradizioni, non basta la difesa di un’identità, non basta quel rincorrersi di parole attraverso i salotti mediatici, a partite da quelli televisivi. Non basta, ma tutto questo conferma che il tema del presepio, più che mai vivo, suscita domande e stimola ricerche in presa diretta con la realtà. C’è, ad esempio, una parola che oggi si è aggiunta ad altre dopo gli attentati terroristici ed è “sicurezza”: non si deve fare il presepio perché rappresenta un pericolo.


Presepio vivente 2014 dell’Istituto L’Aurora – Cernusco s/N

In realtà il presepio ha sempre richiamato il pericolo corso da due sposi e da un bimbo cercato dai soldati di un re che voleva ucciderlo. Il presepio è stato ed è anche il richiamo a un Dio in pericolo. Viene alla mente una considerazione ritornata al termine del convegno ecclesiale di Firenze. C’è un ateismo, si diceva, che non è la negazione di Dio ma è la rimozione di Dio dalla vita e dalla storia. Il rischio della rimozione di Dio, il Dio in pericolo, passa anche attraverso la riduzione del presepio a un mini scenario con statuine, muschio, luci, musiche… Una tradizione bella, suggestiva, affascinante.

Ma che valore può avere un presepio che non susciti una domanda su Dio? Che valore ha un presepio che non pone interrogativi sulla presenza o sull’assenza di Dio nella storia, nella vita, nella città? Che senso ha la difesa del presepio se poi non ci si lascia mettere in crisi da un Dio che ha contemporaneamente il volto di un bimbo che nasce in una grotta e il volto di un bimbo che muore in un mare e che le onde depongono sulla spiaggia con una tenerezza che dovrebbe essere umana?

Ai bordi della cronaca, di fronte a questi volti, si balbetta. Non si ha comunque la presunzione di esprimere valutazioni e ancor meno giudizi. Il presepio, nella sua umiltà ed essenzialità, porta i pensieri altrove, li porta fino ai confini di un “qualcosa” che stupisce e, ancor più, scompiglia il ragionare dell’uomo. Si rimane ad ascoltare chi parla di presepio attraverso i media attendendo una risposta che vada oltre la difesa di una grotta perché Dio che nasce chiede di essere accolto più che di essere difeso. Si rimane ad ascoltare chi parla oggi di presepio attraverso i media senza mai ricordare che quel bimbo aveva due genitori migranti e rifiutati. Si rimane ad ascoltare chi oggi parla di presepio attraverso i media ma gli occhi sono fissi su quelli di un bimbo che ha cambiato la direzione della storia e, contemporaneamente, sugli occhi di tutti i bimbi traditi dai moderni Erode.

Prende spazio un’inquietudine disarmata ma non rassegnata, un’inquietudine che diventa stupore non per uno scenario suggestivo ma per la bellezza, fragile e indifesa, di una Presenza.
Il racconto mediatico non varca questa soglia ma può forse far nascere domande con il dibattito sul presepio. Nel frattempo ai bordi della cronaca torna il grande interrogativo su Dio guardando il buio sospeso sul presepio del mondo. Si incontrano gli sguardi degli innocenti e si incontrano gli sguardi dei soldati di un re che li cerca per ucciderli. Ma ancora una volta è l’umile e indifeso presepio a lanciare un appello, a dire che c’è un altro sguardo, che bisogna cercare un altro sguardo, che bisogna avere un altro sguardo.

(Paolo Bustaffa per Agenzia SIR, 7 dicembre 2015)