LA TENTAZIONE DELLE CICALE

Se la Nazione è una, uno il popolo, unica la cassa è evidente che per una parte della popolazione che riceve, ce n’è una che dà. E se le risorse vengono oggi da un indebitamento, chi le restituirà domani?

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È stato un fine settembre decisivo per il futuro dell’Italia. Il Governo ha passato al vaglio questioni importanti: sicurezza, pensioni, bilancio. Lo ha fatto portando il deficit fino al 2,4% del Pil. E forzando la mano allo stesso ministro per l’Economia, Giovanni Tria, già impegnato con Bruxelles a non superare il tetto del 1,6%. Lo ha fatto in barba all’Unione e al debito pubblico italiano che lo scorso luglio ha toccato il suo record negativo: 2.341,7 miliardi di euro. Tutto per concedere reddito di cittadinanza e anticipo pensionistico.

Mentre Tria ha dichiarato di non essersi dimesso solo per non gettare il Paese nello sconcerto, alcuni ministri si sono mostrati esultanti al balcone: hanno mantenuto le promesse fatte agli elettori. Salvini ha ottenuto il superamento della legge Fornero per oltre 400mila lavoratori, la flax tax al 15%, la pace fiscale e una lunga serie di investimenti per scuole, strade e comuni. Di Maio avvia il reddito di cittadinanza grazie a un tesoro da 10 miliardi di euro da spartire tra 6,5 milioni di persone, più un altro milione e mezzo per le vittime di crack bancari.

Sostenere le fasce deboli è più che auspicabile avendo, o cercando di avere, le risorse. Farlo ricorrendo ad un ulteriore indebitamento dello Stato è invece azzardato, come hanno pesantemente evidenziato i ministri finanziari dell’Eurogruppo, incontrando lunedì primo ottobre il ministro Tria in Lussemburgo. La questione corre sul filo di lana: aiutare di più, rischiando di più.

Tra tante incertezze, un punto fermo: chi sarà a colmare il debito se non i cittadini stessi? Antipatica conseguenza. Forse per questo la manovra è stata presentata con slogan accattivanti (“Per la felicità degli italiani”) e utopistici (“Per cancellare la povertà”). È ovvio che possa essere gradita: a chi senza un lavoro riceverà un sussidio, a chi andrà in pensione prima, a chi pagherà meno tasse, a chi si vedrà condonare insolvenze.

Ma la domanda resta: chi pagherà? Se la Nazione è una, uno il popolo, unica la cassa è evidente che per una parte della popolazione che riceve, ce n’è una che dà. E se le risorse vengono oggi da un indebitamento, chi le restituirà domani? Noi stessi, giovani in primis, gravati da un debito ancora più grande.

L’annuncio della manovra ha levato più voci allarmate: esponenti politici hanno parlato e manifestato; il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha invitato al rispetto dell’articolo 97 della Costituzione, ovvero all’equilibrio di bilancio e alla sostenibilità del debito pubblico. Lo stesso hanno fatto il presidente dell’Unione europea Antonio Tajani e il governatore di Bankitalia Ignazio Visco. I moniti europei sono stati molteplici. Ad essi il ministro dell’Interno ha risposto col suo stile: “Se Bruxelles dice che non posso farlo, io me ne frego e lo faccio lo stesso”. Mentre il ministro del Lavoro ha accusato avversari e giornalisti di “fare terrorismo”.

La manovra annunciata viene scritta in questi giorni, qualcosa potrà essere cambiato. Ma i leader di governo restano saldi su una convinzione: fanno quello che il popolo vuole. E i sondaggi confermano. Eravamo operose formiche, stiamo forse diventando cicale?

Simonetta Venturin

direttrice “Il Popolo” (Concordia-Pordenone)
(da www.agensir.it)

Cernusco sul Naviglio, 8 ottobre 2018