IN PREGHIERA PER I “MARTIRI NOSTRI CONTEMPORANEI”

La Veglia di Pentecoste è stata vissuta nella preghiera e nel ricordo di chi ha perso tutto, fino a dare la vita, per la propria fede. È stata dedicata “ai martiri nostri contemporanei”.


La Veglia di Pentecoste - che nella nostra diocesi ha avuto come momento centrale la celebrazione nella Basilica di Sant’Ambrogio, sabato 23 maggio, ma che è stata anche proposta in tante parrocchie, come in quella cittadina di San Giuseppe Lavoratore - quest’anno è stata vissuta nella preghiera e nel ricordo di chi ha perso tutto, fino a dare la vita, per la propria fede. Infatti, su proposta della Conferenza Episcopale Italiana, è stata dedicata “ai martiri nostri contemporanei”.

Il vicario generale, monsignor Mario Delpini – come pubblicato sul sito web della diocesi – ha rilevato che riceve «quasi quotidianamente informazioni da Vescovi del Medio Oriente e africani. Quanti sono testimoni diretti delle persecuzioni raccontano di una condizione davvero insostenibile dei moltissimi che devono affrontare deportazioni e spostamenti obbligati o vessazioni di ogni genere per potere almeno sopravvivere. L’evidenza è che questo andamento si stia intensificando.»

Più volte papa Francesco ha parlato delle tragedie che i cristiani vivono in numerosi Paesi e ha ri­cordato che sono «vittime di persecuzioni e vio­lenze solo a causa della fede che professano». Secondo un recente studio francese, coordinato dal giornalista Samuel Lieven, sono circa 150 milioni i cristiani perseguitati attualmente nel mondo. I cristiani sarebbero vittime addirittura dell’80 per cento degli atti di persecuzione. Stando all'ultimo Rapporto sulla Libertà Religiosa nel Mondo della Fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Sof­fre, 20 Paesi sono identificati come luoghi di “ele­vato” grado di violazione della libertà religiosa, dove cioè la libertà religiosa non esiste. In 14 di questi Paesi, la persecuzione è a sfondo religioso ed è legata all’estremismo islamico. Sono: Afghanistan, Arabia Saudita, Egitto, Iran, Iraq, Libia, Maldive, Nigeria, Pakistan, Repubblica Centrafricana, Siria, Somalia, Sudan e Yemen. Negli altri 6 Paesi, la persecuzione religiosa è perpetrata da re­gimi autoritari: si tratta di Azerbaigian, Myanmar, Cina, Corea del Nord, Eritrea e Uzbekistan. Dal Rapporto emerge anche che nella lista degli Stati in cui si registrano gravi violazioni della li­bertà religiosa, i Paesi musulmani rappresentano la maggioranza.

Monsignor Mario Zenari è da sei anni nunzio apostolico in Siria, un Pae­se che sta vivendo il quinto anno di guerra civile, con un bilancio impressionante e che è desti­nato a peggiorare: 220mila morti, di 20mila per­sone non si ha più notizia (tra cui il gesuita ita­liano Dall’Oglio, scomparso nel 2013), 4 milioni hanno cercato rifugio all’estero, 1 milione 650mila bambini non vanno più a scuola. La Siria è stata una tra le prime regioni ad aver conosciuto il messaggio evangelico, e proprio ad Antiochia (che solo dal 1939 è stata an­nessa alla Turchia) per la prima volta i seguaci di Gesù vennero chiamati "cristiani”. E per molti secoli i seguaci di Gesù hanno potuto vivere in pa­ce con le altre componenti della società.

In Siria, molti cristiani sono emigrati all’estero, altri hanno cercato ri­fugio nei Paesi vicini. C’è chi sostiene che stia morendo persino la speranza di poter tornare un giorno nelle proprie terre. «I cristiani sono una minoranza – ha detto ad Avvenire, lo scorso 23 maggio, il nunzio in Siria - che soffre dentro una situazione di sofferenza diffusa: 7 milioni di rifugiati inter­ni, 4 milioni di espatriati. I vescovi chiedono che, se possibile, rimangano in patria o nei Paesi li­mitrofi e non vendano le proprietà, in modo che quando tornerà la pace possano rientrare nei luoghi dove erano presenti. Certo, le prospettive non sono incoraggianti». Anche gli appelli per la creazione di corridoi umanitari che permettano l’ingresso di aiuti alla popolazione di Aleppo, una delle città più bersagliate dal conflitto - con­trollata in parte dall’esercito regolare, in parte dai ribelli di al-Nusra e in parte dalle milizie del­lo Stato Islamico -, sono rimasti lettera morta. «Purtroppo è una situazione che accomuna Aleppo ad altre città. Si calcola che siano 4 milio­ni i siriani che non riescono ad accedere ad aiu­ti umanitari, e 200mila vivono in villaggi total­mente isolati perché occupati da milizie ribelli. E non si può dimenticare il calvario di 15mila persone che vivono nel campo profughi di Yarmuk, definito dal segretario generale delle Na­zioni Unite, Ban ki Moon, “l’ultimo cerchio del­l'inferno".».

Cernusco sul Naviglio, 25 maggio 2015