TIZIANO ERBA, DAL 1998 IN SELLA ALLA SUA MOTO… AL GIRO D’ITALIA
Voce Amica ha intervistato Tiziano Erba che ha seguito da vicino numerosi “Giri d’Italia”, corse ciclistiche dei professionisti e “Tour de France”. Correva l’anno 1998...
Il Giro d’Italia 2020 è passato anche
da Cernusco, un evento eccezionale che rimarrà nella storia della nostra città.
Proprio per ricordare questo evento, abbiamo intervistato un cernuschese,
Tiziano Erba, che per molti anni in sella alla sua moto ha partecipato a varie
edizioni del Giro, come servizio d’ordine prima e poi come accompagnatore di un
fotografo durante le tappe.
La sua esperienza così singolare nel
mondo del ciclismo, denota una passione davvero unica che ci riporta a rivivere
...momenti di storia!
Tiziano, raccontaci un po’ come è iniziata questa tua avventura al seguito del Giro?
Correva l’anno 1998. Potrebbe sembrare l’inizio di una favola, per me un po’ lo è stato. Da molto tempo infatti facevo parte del locale gruppo Motostaffette Martesana, nato allo scopo di garantire la sicurezza nelle gare ciclistiche su strada. Ricordo ancora la telefonata del responsabile della Gazzetta dello Sport che mi chiedeva la disponibilità per condurre in gara una loro moto nel Giro d’Italia. Fu il mio ingresso nel mondo dei professionisti.
Seguendo il Giro, avrai visitato città e paesi dell’Italia. Quali sono i ricordi più belli o gli incontri con la gente di cui ancora oggi hai memoria?
Impossibile condensare 15 anni di gare. Senz’altro il ricordo della partenza da Agrigento del 1999 è uno dei più forti. Era la mia prima volta in Sicilia. Arrivammo il 13 Maggio nella Valle dei Templi: lo spettacolo in quell’ora del tramonto dipinta di rosso fuoco mi è rimasto negli occhi e nel cuore. Ho poi ho apprezzato l’ospitalità dei siciliani: in corsa mi si guastò l’antenna per la radio della moto e grazie al pronto aiuto dei locali riuscii a trovare il ricambio in tempi da record. Una saldatura e via, di nuovo in gara.
Noi pubblico da casa vediamo solo la corsa, ma come si svolge la vita della “Carovana” del Giro?
Il pubblico non si immagina che il personale affronta tre settimane di duro lavoro. Dopo l’arrivo c’è subito il trasferimento per la tappa dell’indomani. Ogni squadra ha al seguito mezzi attrezzati con officina, lavatrici e molto altro. Meccanici e massaggiatori cenano verso le 22.00, coloro che mettono le frecce e le transenne lungo il percorso e chi lavora in sala stampa anche dopo.
Certamente avrai conosciuto diversi campioni o ciclisti “gregari”, o almeno li avrai visti da vicino. Quali sono i corridori che maggiormente ti hanno impressionato?
Ho
smesso di seguire il Giro nel 2015. I miei ricordi più belli risalgono agli
anni di Pantani, Cipollini, Bettini, Bugno, Tonkov, Berzin.
Mi
ha colpito la struttura fisica di Pantani: aveva muscoli e bacino di cilindrata
superiore, mentre dalla vita in su era quasi scheletrico: un fisico perfetto
per uno scalatore. Cipollini era il re delle volate e in gruppo era uno sceriffo:
se l’arrivo era allo sprint, non si creava problemi a stoppare le fughe.
Ricordo anche Chiappucci, simpatico e sempre sorridente, forte discesista: l’ho
ancora presente mentre scendeva dal Cuvignone sotto la pioggia; era imprendibile,
staccava tutti. Un altro forte in discesa era Savoldelli: ricordo di averlo
seguito in una folle discesa dal passo Manghen, si era lanciato a rotta di
collo verso la Val di Fiemme. In pianura però smise di pedalare in attesa del
gruppo. Lo affiancai e gli chiesi perché fosse sceso così forte. Mi rispose: “Pota,
perché me pias”. Impressionante era poi la velocità del treno Saeco, nel quale il
nostro Mario Scirea pilotava Cipollini allo sprint: a 400 metri dal traguardo
sfiorava i 70 kmh!
Però
porterò sempre nel cuore il ricordo di Marco Pantani nel memorabile duello con
Tonkov a Plan di Montecampione: ero lì con loro. Riposa in pace Campione, che fuori
dal ciclismo hai tragicamente pagato le tue fragilità.
Hai ancora dei rapporti con chi negli anni scorsi ha condiviso con te l’essere al seguito del Giro?
Certamente: fra motard si crea un legame di amicizia duraturo; con alcuni più che con altri, come del resto avviene fra colleghi di lavoro.
Tecnicamente cosa ne pensi di questo giro svolto ad ottobre invece che a maggio?
Credo che questo calendario inevitabilmente abbia stravolto le performance dei corridori: questo è il periodo del giro di Lombardia, favorevole ad atleti tosti ed avvezzi al freddo
Attualmente “noi italiani” facciamo fatica ad emergere nelle corse a tappe, mancano forse i campioni? In prospettiva chi dei giovani potrebbe essere la rivelazione del ciclismo italiano?
Dopo Vincenzo Nibali, per me attualmente ancora il più forte italiano nelle corse a tappe, io speravo nella pronta ripresa di Fabio Aru. Ricordo come ha dominato il Val d’Aosta da dilettante: era una vera promessa. Ho fiducia in Marco Frigo, in Alessandro Fancellu, in Kevin Colleoni, in Filippo Conca e nel bravo Filippo Ganna, già vittoriosa conferma in questo giro.
Da ultimo, raccontaci un aneddoto o una curiosità che hai vissuto durante i “tuoi” Giri; qualcosa che ancora oggi ti fa sorridere
Tra i tanti, racconto volentieri
due ricordi.
Il primo risale al Tour
de France, evento molto sentito dai cugini francesi. Era il 9 Luglio 2006, si
disputava la finale del mondiale di calcio Francia – Italia, quella in cui
Zidane ha dato la testata a Materazzi, vinta da noi ai rigori per 5 a 3. Io ero
al Tour come motofotografo per Yuzuru Sunada, un professionista giapponese.
L’altro Italiano era il mio amico Gianni, che aveva in moto il fotografo Roberto
Bettini. Il 10 luglio era giorno di riposo, così noi bardammo le due moto con
le bandiere Italiane. L’11 partiamo per la tappa Bordeaux –Dax, con schierati
davanti i corridori italiani che brindavano e le nostre due moto imbandierate.
Vi lascio immaginare i fischi del pubblico. Ma che soddisfazione avere
sottolineato così la nostra vittoria!
Il secondo ricordo ha
per protagonista Gino Bartali. La prima volta che l’ho visto ero bambino e lui
correva ancora. Allora io abitavo a Carugate, erano gli anni Cinquanta; l’avevo
incontrato con mio papà nel cortile del circolo Sant’Andrea. Bartali ha sempre
fatto parte del ciclismo; ha guidato la sua Golf al seguito del Giro fino al 1999.
Ho così avuto l’occasione di incontrarlo nuovamente e mi sentivo davvero
onorato di poter parlare con lui. Conservo tuttora un affettuoso ricordo di questo
gigante di umanità.
Intervista a cura di Roberto Beretta
(da VOCE AMICA di novembre)