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CHARLIE GARD. L’ELOQUENZA DEL SILENZIO

Dopo la decisione dei genitori inglesi di abbandonare la battaglia legale per le cure al figlio, Charlie, nel suo silenzio, è eloquente perché ci indica che la fine di ognuno di noi è ben certa ma non è un mero dissolversi nel nulla. È un incontro.


Foto da www.agensir.it

Il dolore innocente, la sofferenza dei piccoli sta davanti, interpella. La risposta non è che l’impotenza umana di guarigione? Un pessimismo senza fine o la depressione? Dal luogo di dolore senza pari, può scaturire un altro sentire che non annulla lo strazio e non vuole darsene ragione perché finirebbe con lo scontrarsi contro un muro.

Il sentire altro gode della pretesa intrinseca di guardare con occhi lucidi di lacrime ma risplendenti di speranza. È in gioco il senso profondo della vita. Quella che il piccolo Charlie non ha assaporato fino in fondo: un lattante sorridente che si sta schiudendo alla grande avventura. Ora la sua avventura non è più una ad ventura, un futuro, si arresta bruscamente e, a nostro modo di vedere, in tempi cronologici ingiusti: può una vita interrompersi prima di fiorire? Quando dinanzi al Creatore un’esistenza è fiorita? Quando nel misterioso mosaico della storia, una tessera è colma e brilla. Quando la missione affidata ad ogni creatura esistente è giunta a compiutezza. Charlie a questo traguardo è ormai giunto. Può entrare nella vita, quella eterna perché ogni essere a cui è stata donata la vita, se è stata impressa la morte, è stata anche consegnata l’eternità.

È follia asserirlo? È servaggio ad un’ideologia teologica? Oppure è Vangelo, buona notizia, donata all’umanità? Il messaggio del nostro Pastore è stato chiaro: “Papa Francesco sta pregando per Charlie Gard e per i suoi genitori e si sente particolarmente vicino a loro in questo momento di immensa sofferenza. Il Santo Padre chiede di unirci in preghiera perché possano trovare la consolazione e l’amore di Dio”. La sofferenza è innegabile. Non si può misurare. Tutti gli interrogativi affiorano come lame che tagliano al vivo.

Dire preghiamo, non è un modo per svignarsela, per edulcorare una realtà tristissima e dura da digerire. Dire preghiamo significa rivolgersi al Signore della vita che, insieme con noi, sta soffrendo per quanto si incide nella tenera carne di Charlie e in quella dei suoi genitori. Egli piange con noi.
Le Sue Mani però stanno sorreggendo il bimbo e lo cullano, infondendogli la certezza di stare al sicuro, di essere accolto come un segno prezioso che ha scosso le coscienze, che le ha orientate verso Dio.

Charlie, nel suo silenzio, è eloquente perché ci indica che la fine di ognuno e di ognuna di noi è ben certa ma non è un mero dissolversi nel nulla. È un incontro. Misurare cronologicamente gli anni è ancora troppo facile. Esiste anche la misura qualitativa, quella che sa cogliere la Presenza del Creatore che non è assente e che ben sa come, aprendosi a Lui, si apra per noi quella sorgente che chiamiamo consolazione. La piaga del dolore acquista luce, non si chiude per magia. È la luce della trasfigurazione, come trasfigurate e luminose sono le piaghe del Risorto. Se ci raduniamo insieme oranti, da tutti gli angoli del nostro pianeta, e ci rivolgiamo a Colui che ha vinto la morte, insieme irraggiamo la Sua luce e la nostra piaga, pur rimanendo piaga, pur attraversando il dolore, si lenisce e viene proiettata su quella via che conosce come giungere al Giardino dove il Signore passeggia.

I genitori affidano il loro piccolo agli angeli del Cielo, non sarà solo, non sarà triste, lo accoglieranno tutti coloro che ci hanno preceduto nella storia dell’umanità. Non sappiamo come descrivere il corpo di Charlie ed è inutile immaginarlo, sappiamo che sarà circonfuso di luce, come quello del Risorto.

Che cosa mai farà Charlie? Charles Péguy lo ha intuito:

“Il mio paradiso è quello che c’è di più semplice.
Niente è più spoglio del mio paradiso.
Aram sub ipsam ai piedi dell’altare stesso
Questi semplici bimbi giocano con la loro palma e le loro corone di martiri.
Ecco quello che accade nel mio paradiso.
A che si potrà mai giocare
con una palma e delle corone di martiri?
Penso che giochino al cerchio, dice Dio,
e forse ai cerchietti (almeno lo penso, perché non che mai mi si chieda il permesso).
E la palma sempre verde serve loro,
a quanto sembra, di bacchetta”.

(Cristiana Dobner per Agenzia SIR, www.agensir.it)

Cernusco sul Naviglio, 26 luglio 2017