DOVE VANNO I GIOVANI…

Quelli del Nord all’estero, sostituiti dai meridionali. Per invertire la tendenza, cercare connessioni virtuose tra le esperienze positive di sviluppo e quelle offerte da scuola e università.

Le nuove generazioni hanno il compito di immaginare il loro futuro e poi provare a costruirlo. Molti giovani provano a guardare oltre i confini del territorio in cui sono cresciuti. Questo comporta alcune conseguenze che vanno prese in considerazione. Viviamo una fase critica. Ce ne accorgiamo da vari segnali: non c’è solo la disoccupazione giovanile, che tra l’altro, in quest’ultimo periodo è un po’ più bassa rispetto a qualche anno fa, come non ci sono soltanto gli scoraggiati. Un elemento che impoverisce i nostri territori è l’esodo delle nuove generazioni.


Studenti universitari (Foto archivio SIR/UE – Riproduzione riservata)

Nel 2015 per la prima volta gli emigrati sotto i 40 anni hanno superato quelli più anziani: oltre 54mila giovani hanno iscritto la loro residenza all’estero. Ma la migrazione è anche interna, una recente indagine del Censis rileva che, solo lo scorso anno, sono partiti dal Sud Italia quasi 23mila diplomati per iscriversi in università del Centro Nord; contemporaneamente, afferma il Censis che circa 31mila laureati hanno lasciato il Meridione per cercare un’occupazione o per specializzarsi nella loro professione (tra questi 5mila per andare all’estero). Si crea così una frattura territoriale, perché il Sud non attrae. Così mentre nel Nord Italia a “sostituire” i giovani che espatriano arrivano quelli del Sud, il Meridione si impoverisce soprattutto dei più preparati.

Le scelte dei giovani, che si basano, molto probabilmente, sulla possibilità di dirigersi in contesti socio economici che offrono maggiori opportunità, creano però un doppio squilibrio territoriale: da una parte le comunità di partenza perdono l’investimento in istruzione compiuto. Se si contassero i laureati che hanno lasciato il Meridione, secondo i calcoli del Censis si tratterebbe di circa 3,3 miliardi di euro investiti, senza un ritorno diretto. Dall’altra parte si perdono risorse (che sono basate sugli iscritti) per il sistema universitario locale che avendo meno finanziamenti sarà costretto a rivedere anche l’offerta formativa.

L’attuale scenario ci porta a considerare il rapporto tra qualità della formazione offerta e contesto. Non è sufficiente offrire un’istruzione di alto livello se poi il contesto locale non è in grado di qualificare il sistema socio-economico. La questione non è solo relativa all’emorragia di giovani che avviene nel Sud Italia, ma alla scarsa attrattiva che questo territorio ha verso i giovani, che lo scelgono per soggiornarvi in vacanza, ma non per viverci. Se si volesse invertire la tendenza sarebbe auspicabile iniziare con piccoli passi, cercare connessioni virtuose tra le esperienze positive di sviluppo e quelle offerte da scuola e università, di modo che alcuni giovani, non solo italiani, siano attratti da qualche opportunità.

Andrea Casavecchia per Agenzia SIR

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Cernusco sul Naviglio, 16 maggio 2016