SPRECO E CARENZA ALIMENTARE

Sta nascendo una nuova consapevolezza che coinvolge pubblico e privato

Ci sono persone e famiglie che possono permettersi di consumare cibo in modo ampio e in sovrabbondanza, altre persone e altre famiglie, poco distanti dalle prime, non dispongono del necessario. È difficile accettarlo, ma in Italia, come in Europa, è ancora così. Dagli sprechi, che vediamo nei bidoni della spazzatura, costatiamo lo squilibrio nella nostra società, nelle nostre città, vie e quartieri.

Secondo alcuni dati disponibili, forniti da Eurostat, nel 2013 il 12,6% dei cittadini italiani non riusciva a permettersi ogni due giorni un pasto equilibrato; sebbene negli ultimi due anni la percentuale sia in calo – alcune stime indicano che ora siamo al 9,1% –, sono in condizione di povertà alimentare ancora circa 5 milioni e mezzo di persone, e tra questi oltre un milione di bambini e ragazzi. Contemporaneamente il “Rapporto Waste wender watcher 2015” evidenzia che lo spreco del cibo domestico familiare (quello che buttiamo dal nostro frigorifero o dalla dispensa o che avanza dalle nostre tavole) vale 8,4 miliardi di euro l’anno. Ci sono strumenti per ridurre lo spreco e riequilibrare la bilancia tra chi ha troppo e getta via e chi non riesce ad avere il minimo?


Foto archivio SIR – Riproduzione riservata

La povertà alimentare è rilevata sulla base di alcuni indici definiti dalla qualità e dalla frequenza del consumo di determinati cibi, a partire da pesce o carne o equivalenti nell’ambito di una dieta equilibrata. Intervenire sarebbe possibile e sicuramente l’introduzione di alcune misure redistributive minime, come un reddito di inclusione o proposte simili, aiuterebbero di molto a rispondere alle sofferenze di quelle famiglie, ma queste misure faticano a trovare un ampio consenso perché siano introdotte. Nel frattempo ci sono molte iniziative che recuperano i prodotti in eccesso e provano a redistribuirli. C’è l’ormai tradizionale “Banco alimentare”, attivo da 25 anni in Italia, o il recente “emporio solidale”. Queste attività coinvolgono le filiere della produzione e della distribuzione.

Lo spreco, però, chiama in causa anche le famiglie e le singole persone. Entrano in campo anche azioni più specifiche che innanzitutto richiamano alla responsabilità di uno stile sobrio nei consumi, ma che arrivano alla diffusione di pratiche di agricoltura urbana, con cui si evidenzia come, in alcune grandi città, si stiano ricavando dei terreni coltivabili affidati alla gestione familiare. Infine stanno nascendo alcune politiche locali che tendono a favorire la riduzione degli sprechi: da una parte attraverso azioni formative e informative; dall’altra attraverso il coordinamento dei diversi soggetti che sul territorio si dedicano a raccogliere e redistribuire quello che altri sprecano.

Andrea Casavecchia per Agenzia Sir
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Cernusco sul Naviglio, 2 maggio 2016