25 APRILE 2020. RESISTERE PER COSTRUIRE INSIEME UN NUOVO UMANESIMO DI LIBERTÀ
Perché questo 25 aprile – vissuto ieri con grande e intensa partecipazione – non sia presto dimenticato come ogni celebrazione puramente retorica, bisogna ripartire da una consapevolezza scomoda ma necessaria: abbiamo fatto un cattivo uso della libertà che ci è stata donata.
Per
costruire un vero cambiamento bisogna allora innanzitutto ripensare la nostra
idea di libertà. La libertà è un bene comune, prima che individuale. È un
bisogno di tutti. Per questo è da sempre il motore più potente della Storia,
quello che spinge a lottare contro le ingiustizie, le violenze, le dittature.
Quello che ha animato la Resistenza e ci ha consegnato la democrazia.
Ma l’ideale di libertà che ha animato i partigiani e ispirato le pagine della
Costituzione è stato corrotto. La libertà si è degradata da bene comune a bene
individuale. Della libertà è stato fatto un cattivo uso: esclusivo e a volte
criminale. Allora il punto fermo, imprescindibile, è che la libertà di ciascuno
comporta quella degli altri. La libertà è di tutti o non è libertà. Si è liberi
con gli altri e per gli altri. Non saremo liberi finché un solo uomo sulla
Terra sarà ancora sfruttato, umiliato, oppresso. La libertà comporta l’impegno
a liberare chi ancora libero non è.
Allora questo “25 aprile” celebrato in una contingenza difficile e drammatica come quella della pandemia, deve essere un’occasione per rileggere la libertà alla luce della responsabilità. Sì, perché la libertà senza responsabilità degenera in arbitrio, in egoismo, in affermazione di sé contro gli altri o a scapito loro. È la logica che muove questo sistema economico, sistema «ingiusto alla radice» – come dice papa Francesco – ingiusto perché selettivo. Un sistema che ha distrutto i diritti e i beni comuni, trasformandoli in privilegi di chi detiene potere o possiede ricchezza.
Per
uscire davvero da questa crisi sanitaria non basta allora trovare un vaccino
contro il virus: bisogna trovarne uno anche contro gli egoismi. Altrimenti, se
saremo colpiti da un altro virus, da un’altra crisi di questa portata, la
logica dell’intervento sarà inevitabilmente quella del mors tua, vita mea,
della sopravvivenza garantita solo ai ricchi, ai potenti, ai corrotti, ai
mafiosi. E negata ai deboli, ai poveri, agli immigrati, agli anziani non
“produttivi”. Già abbiamo visto qualche agghiacciante avvisaglia di questa
selezione disumana.
Allora l’eredità che ci lascia questo settantacinquesimo 25 aprile è etica e
insieme pragmatica: impegnarci di più, insieme, per costruire un Nuovo
Umanesimo, un nuovo paradigma dell’umano, come anche esorta la Laudato si’
di papa Francesco. È una questione culturale, prima che politica. Dobbiamo
avere il coraggio di lasciare la strada distruttiva e suicida
dell’individualismo per riconoscere la nostra comune appartenenza all’”umano”,
a partire dai suoi bisogni fondamentali: casa, lavoro vero, istruzione, cura
del corpo e dell’anima. È questa la premessa per liberarci dalle mafie e dalla
corruzione, dalla produzione e dal commercio di armi, da un’informazione
asservita a poteri forti – industriali e non solo – che tace o deforma la
realtà. Più in generale, per liberarci da un sistema economico che arricchisce pochi
a spese di tutti gli altri, alimentando la povertà, la disoccupazione, la
disperazione. Pensiamo ai giovani in cerca di lavoro, agli anziani soli e
abbandonati, al vergognoso Olocausto dei migranti, vittime dell’egoismo e
dell’indifferenza globali.
La
parola “libertà” vada dunque interpretata con occhi nuovi, libertà come
coraggio e impegno per contrastare le disuguaglianze e denunciare una politica
incapace di pensare e operare oltre la logica dei profitti, e prima ancora di
distribuire quei profitti in modo equo. Un Paese non è un’azienda. Un Paese è
una comunità di vite, di speranze, di culture che diventa tanto più grande
quanto più accoglie, si relaziona agli altri Paesi, stabilisce rapporti,
abbatte muri e diffidenze. Si parla tanto in questi giorni della solidarietà
come di un principio fondante dell’Europa unita. È così, ma i Padri della
Comunità Europea – come i partigiani della Resistenza – sognavano un mondo dove
la dignità e la libertà della persona fosse il valore fondamentale, valore
inestimabile, non valutabile con i parametri del “mercato”. Un mondo dove
l’economia fosse servizio al bene comune e non, come si è ridotta, strumento di
ricatto e di potere.
Ricordiamolo quando parliamo di solidarietà europea, e facciamo in modo che la
memoria di questo “25 aprile” diventi davvero impegno.
don Luigi Ciotti
da Avvenire,
25 Aprile 2020
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