Rigenerazione urbana a Cernusco sul Naviglio: un caso di mistificazione o di incultura
“Oggi a Cernusco sul Naviglio viene aperta al pubblico una
struttura privata con due nuovi punti vendita al posto di quello che fu il Super Cash, da
oltre vent’anni rudere inutilizzato all’ingresso Nord della città e
simbolo – insieme al mai finito Hotel Melghera, all’ex-Garzanti e ad alcune
aree di via Torino – della necessità di interventi di rigenerazione urbana su
aree industriali da tempo dismesse …”.(21 giugno 2018, post Fb del sindaco Ermanno
Zacchetti)
Uno spazio commerciale abbandonato (circa 7000 mq), posto sul margine Nord del
tessuto urbano di Cernusco fra due direttrici importanti del traffico cittadino
(via Fiume e via Verdi), è stato recuperato realizzando una nuova struttura di
vendita – un po’ più piccola della precedente (1000 mq in meno) – insieme
alle consuete infrastrutture di supporto (parcheggio pubblico, nuova
illuminazione).
Dal punto di vista
urbanistico l’area è classificata dal PGT vigente come “tessuto urbano
consolidato a prevalente connotazione commerciale per interventi di riqualificazione
urbanistica”, mentre per il precedente PRG era una “zona-mista” *(residenziale-produttiva),
formula che il linguaggio urbanistico usava per descrivere quelle realtà
socio-economiche in cui gli opifici erano contigui alle abitazioni.
Il Sindaco Ermanno Zacchetti ha definito questo intervento come “rigenerazione
urbana su aree industriali”.
In realtà non siamo in un’area industriale ma dentro il tessuto
urbano consolidato; né si tratta di una rigenerazione
quanto di una “ristrutturazione edilizia”, cioè “insieme
sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in
parte diverso dal precedente”. Inoltre l’area d’intervento è
circoscritta e la destinazione d’uso è rimasta sostanzialmente invariata.
Non è (solo) un problema di distinguo fra termini tecnici. La sostituzione
lessicale nasconde sempre qualcosa di più profondo.
L’enfasi con cui l’intervento viene presentato dal sindaco Zacchetti
appare inappropriata: se si considerano i 10 ha. complessivi del
comparto, si tratta di un micro-intervento, enucleato da tutto il resto.
La definizione di “zona a prevalente connotazione commerciale”
è ambigua poiché consente comunque destinazioni d’uso contrapposte e
coesistenti fra residenziale, commerciale e produttivo. In assenza di una
visione complessiva che tenga conto dei consumi di suolo e delle esigenze della
comunità, potrebbero essere realizzati interventi, ex novo o su immobili
ristrutturati, volti ad estendere gli ambiti commerciali, così come quelli
residenziali.
Il PGT lascia quindi numerosi elementi di discrezionalità, specie se le
trasformazioni intervengono su singoli lotti e non su ambiti di
macro-interesse.
Emblematico e singolare è che fino a qualche mese fa sulle recinzioni del
“Supercash” capeggiava un cartello con palazzine abitative-residenziali, segno
del cambiamento di programmi e progetti da parte della proprietà e della
conseguente sostituzione nell’iter autorizzato dei volumi di residenziale con
volumi di commerciale. Operazione legittima, ma che è un preciso indicatore di
mercato rispetto al quale l’amministrazione non ha svolto alcun ruolo di
indirizzo.
E’ possibile che, a fronte di un mercato residenziale saturo e caratterizzato
da invenduto, si preferiscano investimenti immobiliari nell’ambito commerciale,
rispetto ai quali occorrerebbero però precise valutazioni sull’entità dei costi
esterni che ricadono sul territorio comparata con quella relativa al
residenziale.
Nel recente passato sono stati realizzati interventi di vera riqualificazione,
come la riconversione a residenziale delle vicine aree di via Pasubio, che
costituisce il riferimento di un ritrovato equilibrio urbanistico, ben diverso
dal disordine urbanistico delle vecchie “zone miste. Tale positiva
sperimentazione sembra oggi abbandonata.
Che significato può avere una minore copertura di mille mq. a fronte del
possibile incremento di altre migliaia e migliaia di superfici commerciali
nella stessa zona? Gli orari di rifornimento limitati per arrecare meno
disturbo sono davvero poca cosa di fronte all’introduzione di un ulteriore
elemento di polarizzazione del traffico. Così come i pali della luce di nuova
generazione per le vie pubbliche non possono essere considerati un indennizzo
sufficiente. Ed è del tutto improprio spacciare per parcheggi pubblici quelli
che in realtà sono parcheggi privati funzionali all’esercizio commerciale.
Infine l’impatto della proliferazione degli esercizi commerciali sui negozi di
vicinato non sembra essere un elemento sufficientemente valutato rispetto alle
ripercussioni socio-economiche che determina sulla composizione della comunità
cittadina.
E tutto questo senza alcuna statistica sul concesso edilizio, senza alcun dato
relativo ai consumi di suolo, ai volumi previsti/concessi/realizzati,
informazioni indispensabili a qualsiasi elemento di pianificazione e che
l’Amministrazione Comunale non divulga dal 2011.
Senza questi elementi non è possibile valutare quali e quante siano le
destinazioni “prevalenti” e quelle “minoritarie”, ripresentando così in
modo ben più profondo il conflitto delle “zone miste”.
Ciò che si può dire comparando gli unici dati disponibili sul consumo del
suolo (vedi rapporti ISPRA) è che a
Cernusco c’è stato fra il 2014 ed il 2015 un incremento del 7% annuo di consumo
di suolo e, quindi, avendo raggiunto ormai indici edificatori limite con pesi
insediativi residenziali insopportabili, l’unica soluzione per garantire
continuità agli oneri concessori sia favorire il commerciale come sostitutivo
del residenziale. Quest’ultimo per di più fuori dalla veridica dei
parametri sulla capacità insediativa del P.G.T.
Si tratta di un deficit culturale dirompente, frutto di strumenti urbanistici
miopi che non sanno coniugare il vero significato della gestione del territorio
con la tutela Paesaggio e della conservazione dei beni comuni per le future
generazioni.
A normative tecniche sempre più complesse ma non che affrontano l’insieme,
bisogna contrapporre e pretendere una pianificazione di più ampia scala
temporale e spaziale, non basta il singolo progetto isolato dal resto del
contesto, soprattutto nelle zone con destinazioni “prevalenti-miste”.
Solo così si potrà parlare di “rigenerazione urbana”, che è quindi molto
diversa da quella di cui parla il sindaco di Cernusco.
Ma è un tema culturale, prima che urbanistico. Il sonno della cultura produce
disastri.
a cura di Sergio Pozzi e Jasmine La Morgia
*Nota: Nelle “zone-miste”, ora anacronistiche, per oltre cinquant’anni dal
dopo guerra fino alla soglia del nuovo millennio, la laboriosità lombarda ha
sviluppato quell’artigianato manifatturiero che è stato fattore cardine di
crescita economica e tecnologica, di concorrenza e dinamicità, evoluzione
testimoniata anche dal passaggio da ambienti di lavoro quali baracche, cantine
e tettoie a vere e proprie officine.