NOVEMBRE: Neppure la medicina ci libera dalla schiavitù della morte

Carissimi,

tradizionalmente il mese di Novembre si apre con la celebrazione dei Santi e il ricordo di tutti i Fedeli Defunti. Il periodo che ci sta alle spalle, e speriamo sia concluso, ci ha spesso messo di fronte all’inesorabile verità della morte. Molti l’hanno sperimentata nelle proprie case, verso persone care, amici e parenti.

Nel suo testamento “Pensiero alla morte” il S. Papa Paolo VI scriveva:…“vedo che la considerazione prevalente si fa estremamente personale: io, che sono? Che cosa resta di me? Dove vado? E perciò estremamente morale: che cosa devo fare? Quali sono le mie responsabilità? E vedo anche che rispetto alla vita presente è vano avere speranze; rispetto ad essa si hanno dei doveri e delle aspettative funzionali e momentanee; le speranze sono per l'al di là… Poi io penso, qui davanti alla morte, maestra della filosofia della vita, che l'avvenimento fra tutti più grande fu per me, come lo è per quanti hanno pari fortuna, l’incontro con Cristo, la Vita…”

Il Card. Angelo Scola scrive in un saggio dal titolo “Morte e libertà”: …”la vita terrena dell'uomo è destinata a chiudersi con la morte fisica. L'immortalità dell'uomo, istanza che anche quando è negata pervicacemente si impone come determinante di ogni umana azione, implica il passaggio dalla morte fisica. La sopravvivenza oltre la morte fisica dell'uomo è un passaggio obbligato. Questo dato di esperienza comune è tendenzialmente rimosso dalla mentalità oggi dominante e non solo come fu per il passato a partire dal timore che la schiavitù della morte incute. Questa rimozione trova inedito e sconsiderato appoggio in certa esaltazione delle strabilianti possibilità di prolungamento della vita che il connubio tra scienze e tecnologie vanno assicurando all'umana specie. Sostenuta dalla vulgata mediatica, finisce per prevalere la convinzione che, prolungando indefinitamente questa vita, si giungerà a vincere la morte. Se non vado errato è proprio la scienza biologica a dirci invece che l'uomo è geneticamente programmato a “termine”.

... Di fatto la morte fisica ci sta davanti in tutta la sua forza di estorsione e con essa dobbiamo fare i conti. Affrontare la malattia rimuovendo la morte sarebbe avviare la medicina su sentieri interrotti e deliranti. Un simile delirio di onnipotenza fa male al soggetto in tutti i sensi e certamente non può contribuire alla sua armonica relazione con le strutture sanitarie. Resta incontrovertibile il dato che neppure la medicina ci libera dalla schiavitù della morte e dall'angoscia di vanità da essa prodotta. Tuttavia l'uomo non riesce a far tacere l'istanza di immortalità che continua ad alimentare il suo slancio vitale.

… Il Crocifisso Risorto, che ha già attratto con sé nel seno della Trinità sua madre Maria col suo vero corpo e che offre a ciascun uomo questa speranza certa, è l'amore personificato che risponde alla domanda costitutiva “Mi si ama”?, invitandomi all'amore. Ad ogni uomo in special modo a chi è nella condizione di malato terminale egli rivolge la stessa domanda che, Risorto, formulò a Pietro sul lago di Tiberiade: “Simone di Giovanni, mi ami tu?” (Gv 21,16) invitandolo ad inoltrarsi a sua volta sulla strada dell'amore, a farsi amante per poter alla fine riconoscere, carico di commossa ammirazione: “Tu o Signore mi hai amato per primo, aprendomi la porta della casa del Padre” (1Gv 4,19; Gv 10,1-19). Dentro questa straordinaria evidenza fattuale, che la scommessa della fede fa fiorire nel cuore dell'uomo, ogni vanitas è travolta e la sicurezza totale è elargita. Qui la morte e la malattia non hanno più potere”.

In Cristo Gesù la mia morte coincide con l'essere definitivamente accolto in questa dimora permanente e pacificante di amore. Per questo “valutata in termini umani la morte è semplicemente una fine, un puro e semplice passivo venir portato via. La follia del Cristianesimo consiste nel fare di questo confine una specie di centro” (Balthasar).

don Luciano